20 maggio 2008

Disco Drive


I Disco Drive sono architetti del suono, costruiscono strato dopo strato canzoni che non dovendo sostenere nulla di materiale cambiano forma, spessore, prospettiva quando meno te lo aspetti con un risultato finale composto da fondamenta punk-funk, che sorreggono strutture metal, disco, kitchs.Si chiama Things To Do Today il secondo album di questo indie power trio, che concerto dopo concerto si è fatto le ossa all’estero per potersi guadagnare la meritata attenzione in Italia, perché sorpresa!: Alessio, Jacopo e Matteo sono di Torino, non ve lo aspettavate vero?...

Attorno alla release di quest’album c’era una notevole attesa, come vi siete approciati a Things To Do Today rispetto al precedente album What’s Wrong With You, People?
Jacopo: Innanzi tutto quando è uscito il primo album nel 2005 non ci aspettava proprio nessuno e non sapevamo nemmeno se avremmo trovato un’etichetta.
Alessio: Questa volta avevamo un apparato alle spalle e le canzoni sono state affrontate con la consapevolezza di fare un album quindi con meno ingenuità.
J: L’intenzione sin dall’inizio è stata quella di fare qualcosa di diverso dal nostro primo album, abbiamo affrontato delle scelte e scritto canzoni per il disco senza mai averle suonate prima dal vivo, un processo particolare per noi che solitamente scriviamo, suoniamo, aggiustiamo e poi decidiamo se mettere il pezzo sul disco o no.

Però paradossalmente quest’album è molto vicino alla vostra dimensione live.
J: Dopo il primo album tutti ci dicevano che dal vivo eravamo meglio rispetto al disco quindi abbiamo volutamente cercato di trasportare l’atmosfera e l’approcio live nelle canzoni, anche perché tutti e tre amiamo molto di più suonare dal vivo piuttosto che chiuderci in studio a registrare.
A: Il primo album aveva una produzione più levigata da studio mentre questo è più caldo, più grezzo.
J: Io credo che lo studio sia di partenza un freno inibitore che t’impedisce di ricreare l’effetto del live, noi poi dal vivo improvvisiamo molto, cosa che su disco non si può fare.

Quindi di base le vostre canzoni nascono improvvisando?
J: Diciamo che ci sono stati diversi approci, ma la maggior parte dei pezzi li scrive Alessio dall’inizio alla fine, altri invece nascono da divagazioni/improvvisazioni in sala prove o anche live. Questo album è stato metà e metà.
A: Inoltre per quest’album ad un certo punto siamo rimasti soli io e Jacopo, Mauro il nostro bassista non era ancora dei nostri e metà dei pezzi sono nati da due batterie più base mentre gli altri li ho composti io in cameretta.

La cameretta è tornata molto di moda ultimamente…
A: Era dagli anni del punk rock quando componevo canzoni con un quattro tracce a cassetta che non componevo in cameretta! Mi sono accorto che ti basta un computer e Garage Band per fare mille cose velocemente. Questo procedimento permettere a tutti di comporre canzoni e ha fatto tornare cool questo lato casalingo della musica.
J: Molte persone dicono che Garage Band fa schifo ma non è vero basta trovare il giusto metodo per usarlo, molta gente ci chiede che microfoni usiamo o come abbiamo ottenuto certi effetti e quando rispondo con Garage Band e che il microfono è quello di un Mac rimangono spiazzati. Ma applicandosi con passione si ottengono questi risultati.

Avete suonato più volte in Inghilterra, com’è rispetto all’Italia e come siete recepiti dal pubblico?
A: E’ faticoso, estremamente faticoso!
J: E’ totalmente diverso ma ora che in Italia siamo presi più in considerzione tornare a suonare in Inghilterra è difficile perché il trattamento è uguale a zero, niente cibo, niente albergo, pochi soldi.Tutti si aspettano che in Inghilterra, patria del rock, le band siano trattate con un occhio di riguardo ma invece ce ne sono così tante che ti trattano con sufficienza.
A: Abbiamo capito perché molte band importanti italiane non sono interessate ad andare asuonare all’estero, e cioè perchè qua si sta meglio. In un certo senso suonare in Inghilterra è un po’ come stare in vetrina, ma è il prezzo da pagare per poter suonare nei locali fighi davanti alla gente giusta.

Siete descritti come i portavoce del punk-funk italiano, ma ascoltando il vostro album mi sembra un po’ riduttivo, ci sono molte più sfumature nella vostra musica, che dite?
J: Noi abbiamo avuto la sfortuna che il nostro album è uscito un anno dopo di quello dei Rapture anche se era pronto da un pezzo ma non avevamo un’etichetta e pensa che i Rapture non li conoscevamo nemmeno. In realtà abbiamo le stesse influenze e la stessa attitudine, ma in questo nuovo album siamo partiti da lì per andare altrove.
A: Sì, ci piace il punk e anche il funk ma trovo sia riduttivo descrivere il nostro album solo come punk-funk basta vedere la fine che hanno fatto gli stessi Rapture che si sono autocopiati virando verso il mainstream con scarsi risultati.

A chi vorreste essere paragonati?
A: Ai Fugazi, ai P.I.L., alla scena di Washington, ai Gang Of Four, ci sentiamo molto vicino ai Liars come modo di vedere e intendere la musica, l’ultimo disco non mi ha fatto impazzire ma dal vivo sono una bomba. Siamo più New York e meno Londra.

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