20 maggio 2008

The Enemy


Da un piccolo pub di Coventry, cittadina situata a est di Birmingham, alle più grandi venue di Londra in diciotto mesi, questo è stato il percorso dei The Enemy, Tom Clarke voce e chitarra, Liam Watts batteria e Andy Hopkins basso e backing vocals, appena maggiorenni e già star della scena indie Uk. We’ll Live and Die in These Towns è stato uno dei debutti più significativi dello scorso anno, lontano dal glam e dalle mode del momento i The Enemy hanno la union jack nel sangue e per questo ascoltando le loro canzoni balzano in mente i Manics Street Preachers, Kasabian o gli Oasis fautori di quel tipico brititsh rock che li ha fatti entrare nella storia e nel cuore degli inglesi stessi, non perché politici o patriotici ma perché raccontano con orgoglio l’Inghilterra, le sue sfaccetatture e i suoi sobborghi popolati da famiglie e da amici veri.
Tom: “E’ stato tutto così veloce! I nostri piedi non hanno ancora fatto in tempo a toccare terra, è tutto così pazzesco che ogni giorno mi sveglio e mi chiedo: “Fucking hell, what is this?”

Avete cominciato aprendo i concerti dei The Paddingtons, The Futurheads e poi Kasabian, suonare con questi nomi vi avrà aiutato parecchio, no?
Siamo stati fortunati perché queste band hanno creduto in noi chiedendoci di far loro da supporter, per noi è stata l’occasione per farci conoscere e far vedere alla gente chi siamo.

Vi chiamate The Enemy ma le vostre canzoni parlano molto d’amicizia, in Inghilterra si dice “Who need enemies when you’ve got friends”, è questo il senso del vostro nome?
Sì, noi non abbiamo tempo per avere dei nemici, ma allo stesso tempo noi siamo gli unici nemici di cui voi avete bisogno.

Ora che avete scritto un album di successo e suonato in tutto il mondo vi chiedo, è tutto come ve lo immaginavate?
E’ esattamente come lo sognavo da bambino in cameretta, uscire ogni sera, partecipare a feste incredibili dopo aver suonato di fronte ad un mucchio di persone che fanno casino e bevono e rovesciano birra, incredibile!

Il vostro suono si potrebbe descrivere come Oasis-punk, sei d’accordo?
Non ci piace essere etichettati, ma Oasis-punk mi piace, perché è un genere che non esiste, l’essere punk è un attitudine che noi abbiamo ma stà alle persone scegliere in quale categoria della loro collezione di cd metterci.

Tu cos’hai nella tua collezione di dischi?
Il primo amore musicale della mia vita sono stati i Rolling Stones poi sono arrivati gli Who che al momento credo di poter affermare siano la mia band preferita in assoluto. Poi non manca la discografia di Oasis e Verve ma l’ultimo gruppo inglese che mi ha veramente entusiasmato sono i Kasabian.

Credi che il successo sia arrivato anche perché i giovani si possono facilmente immedesimare nelle storie che raccontate?
Questa cosa mi ha un po’ scioccato, i nostri testi parlano di esperienza che abbiamo vissuto personalemente o di storie che i nostri amici stretti ci hanno raccontato, non pensavamo vi ci si potessero identificare tante persone. Molti fraintendono i nostri testi considerandoli politici, ma non lo sono, parlano della società in cui viviamo, alcune persone hanno notato riferimenti nei nostri testi di cui noi non c’eravamo nemmeno accorti.

A proposito, sta per uscire un vostro nuovo singolo It’s Not Ok e se non sbaglio è proprio una specie di tributo ai vostri amici, giusto?
Esatto! E’ un vero tributo ai nostri amici, scritto e ispirato a loro stessi, a quello che succede nelle loro vite e a cosa stanno passando nel bene e nel male. A volte mi dimentico di quanti momenti di merda abbiamo passato insieme a Coventry e di quanto siamo fortunati ad esserne usciti, ma questa canzone è un modo per dire a chi ci sta vicino, che non ci siamo dimenticati chi siamo e da dove veniamo.

Le vostre canzoni sono aggressive, epiche e melodiche allo stesso tempo, come riuscite a far convivere questi aspetti?
Con l’alchimia! Io credo che una canzone per funzionare debba avere un lato rock per far pogare i ragazzi e un lato più corale in cui si alzano al cielo le pinte di birra e si ondeggia tutti insieme. Ma abbiamo anche un lato più dark, siamo capaci di mostrarvi lati inaspetatti con una chitarra acustica, credo che ci siano alcuni episodi sopresa nell’album.

Da dove sbuca il titolo We’ll Live and Die in These Towns?
E’ una frase che qualcuno aveva scritto su un muro nella periferia di Coventry, e non può essere più veritiera.

Cosa non deve mancare mai nel tuo guardaroba?
Le Adidas Gazelle.

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