17 novembre 2008

Natalie Portman’s Shaved Head


La prima volta che il mio occhio ha scorto il nome di Natalie Portman tra gli elenchi dei nuovi gruppi indie Usa ho pensato: ecco, dopo Scarlett Johansson è arrivata pure lei, speriamo sia meno pretenziosa e più leggera delle labbra più infuocate del cinema. Poi ho letto meglio e ho capito che non si tratta dell’ennesimo album di una delle starlett più cool di Hollywood, ma di un gruppo di ragazzetti fuori di testa il cui nome per intero è Natalie Portman’s Shaved Head: geniale! La testa rasata di Natalie Portman è una band di Seattle ma non ha nulla a che fare con il grunge, sono quattro nerd stilosi appena usciti dalla high school che hanno cominciato a comporre musica per caso, solo per partecipare al concorso annuale della scuola. Glistening Pleasure è il titolo del loro primo album il cui catchy pop da dipendenza merito dei casio synth e di testi coscientemente stupidi e irriverenti come quello di Sophysticated Side Ponytail, singolo che porterà i shaved head alla ribalta.

Ciao Luke! Come prima cosa raccontaci qualcosa sul vostro background musicale…
Siamo tutti amici dai tempi del liceo, mangiavamo insieme e creavamo film. Un giorno Shaun ed io abbiamo deciso di formare una band solo per il gusto di partecipare al talent show di fine anno. Originariamente dovevamo essere una band elettronica a cappella in cui avremmo riprodotto i suoni degli strumenti a voce per il semplice fatto che nessuno di noi sapeva suonare uno strumento. Alla fine abbiamo capito che era molto più facile fare pasticci con una drum machine e un vecchio sintetizzatore e che l’idea della band era troppo complicata. Abbiamo chiesto ai nostri amici David e Sarah di unirsi a noi, e scritte alcune canzoni è nata la band!

Immagino il vostro nome venga dal film “V for Vendetta” ma perché?
Non sapevamo esattamente di cosa trattasse il film quando abbiamo scelto il nome. Quello che sapevamo era che Natalie Portman si era rasata la testa per interpretare una parte in un film. Fu esattamente quando tutti i canali d’intrattrenimento iniziarono a impazzire per questa notizia, non si parlava d’altro, così abbiamo pensato di usarlo come nome. Non avremmo mai pensato di poter fare un’intervista con un magazine italiano con un nome stupido come il nostro. (Luke strizza l’occhio).

Sono curioso di sapere se Natalie Portman sa che esistete…
Sono felice di poter dire che in qualche modo ci conosce. La sorella di Claire, (insieme a Luke i cantanti del gruppo n.d.g.), lavora a New york in una bakery e un giorno Natalie Portman in persona è entrata nel negozio. Claire non ha resistito nel non menzionare qualcosa riguardo la band della sorella a Natalie che ha risposto qualcosa tipo “Oh, questo sì che è stupido…”. Non credo che le abbia dato molto peso, magari se sentirà parlare di noi in futuro si ricorderà di quell’episodio. Certo capisco che dev’essere strano sapere che esite una band che come nome usa il tuo.

Il vostro album s’intitola Glistening Pleasure, un nome che sembra nato da uno sbaglio, è così?
Stavo chattando con un mio amico online quando ha accennato qualcosa riguardo al listening pleasure ma lo ha scritto con una g davanti. E’ un divertente gioco di parole preso da una frase popolare. E’ sdolcinato! Può anche suonare sporcaccione se lo vuoi. Per me è splendente e felice e credo ci calzi alla perfezione.

I vostri testi parlano di teste rasate, code di cavallo e barbe, siete ossessionati dai peli?
In realtà non ho realizzato quanto avevamo a che fare con i peli fino a quando non ho cominciato a fare interviste. Si tratta comunque di una coincidenza. Ma credo che i peli siano impressi nella mente di qualsiasi teenager in fase di crescita.

Il video di Sophysticated Side Ponytails è acid pop psichedelico superdivertente! Mi ricorda Time to Pretend degli MGMT, chi lo ha diretto?
Il video è stato girato da due incredibili registi di Seattle noti come That Go (www.that-go.net). Li abbiamo incontrati tarmite il ragazzo che si è occupato di mixare il nostro album, un giorno Noel, (uno dei due riegisti), è venuto sul set per fare un saluto e abbiamo cominciato a parlare di musica e di video a ruota libera. Mi chiese se avevo visto il video degli MGMT e io gli risposi che lo amavo, da lì è cominciata la nostra collaborazione. Volevamo creare qualcosa che risultasse visivamente divertente e accattivante mettendo in evidenza il lato cheap della produzione. Abbiamo girato il video in tre giorni, dentro a un magazzino di fronte ad un green screen. Poi la magia è stata aggiunta in post-produzione. Noi abbiamo dato l’imput sulle immagini che avremmo voluto come sfondo: ricordi e foto della nostra infanzia, messaggi segreti che non abbaimo mai avuto il coraggio d’inviare e foto di persone di cui volevamo vendicarci. Volevamo risultasse come la pagina di myspace di nostra sorella minore in preda all’uso di steroidi.

Ascoltando la vostra musica direi che avete un approccio creativo diy, cosa mi dici a riguardo?
Tutto l’album, dalla scrittura alla registarzione, è stato fatto nel mio studio allestito in un piccolo basement. Abbiamo passato un’anno a creare e ditruggere, creare e distruggere e creare di nuovo. Quando abbiamo iniziato sapevamo molto poco di musica tanto meno suonare strumenti, per non parlare di strutture. Ma avendo l’opportunità di lavorare in uno studio gratis ci ha permesso d’imparare. E’ una nuova era in cui ogni ragazzino può creare un album che suona professionale restando nella sua cameretta e senza spendere un cent. Il Do It Yourself al momento è una necessità ma avendone la possibilità mi piacerebbe registare un album con Quincy Jones in uno studio a Malibu che s’affaccia sull’Oceano Pacifico, con Timbaland che aggiunge un paio dei suoi beats e Kanye che improvvisa uno dei suoi versi sopra una delle nostra canzoni. Non sarebbe magnifico?

Quali sono le vostre influenze musicali? Nella vostra musica si sentono Peaches, Of Montreal, Css e Daft Punk ma filtrati da un gusto disco pop contagioso farcito all’mdma. Ho centrato il punto?
Yeah! Questa si che è una buona stima. Amo il catchy pop trasmesso dalle radio, e allo stesso tempo impazzisco per il pungo ruvido del rock e della scena electro. Combina il tutto e otterrai i Natalie Portman’s Shaved Head! Al fianco degli artisti che hai menzionato aggiungerei i nomi di Hot Chip, LCD Soundsystem, Junior Senior, The Fiery Furnaces e Weezer, ma potrei continuare all’infinito.

Come sono i vostri live?
L’energia che si sprigiona ai nostri show è folle… puoi sentirla salire dal pubblico. Cerchiamo di far divertire chi viene a vederci mettendo in scena un divertente party dance senza grandi pretese. E’ uno scambio d’amore tra noi sul palco e il pubblico sulla pista. Quando lo show è finito mi piacerebbe che le persone si domandassero: “Dannazione, dove cavolo sono stato l’ultima ora?”.

Guardando le vostre foto direi che vi divertite a giocare con la vostra immagine. Chi è la vostra icona di stile?
Cerchiamo di seguire il nostro gusto personale a livello di stile, anche se è un concetto molto vasto. Di base comperiamo vestiti ai negozi dell’usato o nei charity shop e poi li modifichiamo cucendo, tagliando e aggiungendo trucchi. Ammiriamo molto lo stile di M.I.A., Lovefoxxx, Kanye West e Kevin Barnes. Abbiamo appena cominciato una collaborazione con un’incredibile designer di New York. La sua lineas si chiama Cut It Out. Per noi la cosa più importante è divertirci e sentirci a nostro agio.

L’ultima tua ossessione?
Il nuovo album dei Css, Donkey. Ci siamo scambiati i nostri album l’estate scorsa mentre eravamo in tour insieme e proprio il loro è stato l’album che ci ha fatto da colonna sonora attrarverso l’america sul nostro van. Sono maturati molto a livello compositivo pur mantenendo viva la voglia di divertirsi, ogni volta che lo ascolto mi rendo conto di quanto mi mancano i Css, tutti! Sono le persone più carine che abbia mai conosciuto.

Cosa fate prima di salire sul palco?
Il nostro backstage è un putiferio di vestiti, make up, gente che s’insegue gettandosi l’acqua addosso, finte risse e un sacco d’energia, cerchiamo di prepararci psicologicamente a nutrire i nostri fans.

Nei vostri testi ci sono molti riferimenti all’adolescenza e alla libertà, cosa pensate dei giovani americani?
C’è sempre un periodo della giovinezza in cui si diventa ribelli e si pensa che ogni nostro coetaneo è stupido… ma abbiamo superato quel periodo e ora siamo in sintonia con i nostri coetanei, ci sentiamo cool con i giovani come noi, ma anche con i più cresciuti. Non m’interessa se passano le giornate guardando Britney Spears su MTV. Non m’interessa se stanno tutto il giorno su Myspace o a mandare sms. Questo è quello che la nostra nazione è diventata, e noi speriamo di cavarne fuori il meglio. Divertiamoci finche siamo giovani, a volte non bisogna prendere le cose troppo sul serio.

14 novembre 2008

The B-52's


Dopo sedici anni di silenzio tornano i The B-52’s il gruppo che sul finire negli anni ’70 sconvolse il mondo della musica con un miscuglio mai sentito prima tra punk, pop, funky e new wave legati insieme da coretti striduli e atteggiamenti teatrali che univano futurismo, anni ’50 e cartoons. Ci hanno pensato loro a fare togliere gli occhi di dosso alla scena di New York facendo girare le facce incredule del mondo della musica verso Athens in Georgia città poco nota per le sue attendibilità musicali prima di B-52’s e poi dei R.E.M. Funplex è il nuovo album della band che torna nella sua line up originale con Fred Schneider, Kate Pierson, Cindy Wilson e Keith Strickland. Ricky Wilson scomparve di malattia nel 1985. Dopo varie vicissitudini e inseguimenti riesco a parlare con un membro della band, Cindy la bionda, che è esattamente come te l’aspetti, la sua voce calda esce dalla cornetta del telefono con esuberanza, e con malizia ed esclamazioni a sproposito risponde ad ogni domanda ridendo fragorosamente, se esistesse l’identikit della fag hag perfetta Cindy vincerebbe senza problemi, con un semplice batter di ciglia (finte).

Ciao Cindy, com’è stato ritornare a lavorare insieme dopo sedici anni?
Hi Honey! So, let me think… C’è voluta molta passione, abbiamo lavorato insieme in modo onesto e ciascuno ha portato il suo punto di vista mostrando l’orgoglio e il proprio ego. Le canzoni sono state concepite in modo democratico, tutto si è assemblato in modo naturale e il disco ha preso forma con naturalezza come se fossimo nati per farlo.

I suoni di Funplex sono meno punk e più electro pop, è stata una scelta meditata o aver lavorato con Steve Osbourne, celebre per aver prodotto Happy Mondays e New Order, ha influito sul risultato finale?
Oh dear! La lista di produttori tra cui scegliere non era molto lunga quindi non è stato difficile scegliere! Ahahah!Quando Steve è arrivato in studio tutto l’album era scritto, ma noi sapevamo che mancando dalle scene da così tanto tempo non potevamo sbagliare il colpo, dovevamo dare il meglio di noi e Steve era la persona giusta. Fred è innamorato dell’album Get Ready dei New Order prodotto da Steve, per questo lo abbiamo scelto.

Il titolo Funplex si riferisce ad uno stato mentale o letteralmente ad un grande centro commerciale?
Funplex è una parola entrata da poco a far parte del vocabolario americano, funplex è l’evoluzione d’arcade e di mall. E’ un punto d’incontro in cui diverse culture e personaggi caratteristici s’incontrano, convivono e s’intrattengono.

Il vostro modo di scrivere i testi non è cambiato, siete sempre diretti e sfacciati, è materiale che non normalmente non si sente alla radio…
Ahahahah! So cosa intendi, abbiamo sempre avuto problemi per i nostri testi scabrosi. Fottuti puritani! Ahahah!Il nostro modo di scrivere è molto poetico, scaturisce da un immaginario dadaista fa impressione sentirlo alla radio ma li inganniamo con le nostre melodie, li teniamo in pugno anche se loro non lo sanno.

A proposito d’immaginario c’è una canzone nell’album che s’intitola Juliet Of the Spirits è un chiaro omaggio a Fellini?
Te lo dico questa canzone è incredibile, voleva essere scritta! Mushroom Hell! Sapevamo sin dalla prima nota scritta che sarebbe stato un piacere scrivere questa canzone, la melodia è così fluida e armonica e il testo poi è wow!
Nino Rota e l’immaginario di Fellini sono qualcosa d’incredibile, toccano il cuore.

Qual è il primo ricordo che ti torna in mente se pensi ai primi passi dei B-52’s?
Il primo party a cui abbiamo suonato non me lo scorderò mai, è stato amazing! Io ero una cameriera, Kate lavorava al giornale locale, Fred e Ricky lavoravano come impiegati alla stazione degli autobus mentre Fred faceva il cameriere. Ci siamo messi a suonare per gioco e stavamo così bene insieme, poi una nostra amica organizzò un grande party e noi decidemmo di scrivere alcuni pezzi per l’occasione. Quella sera fu incredibile, ricordo che Kate aveva degli enormi occhiali neri, io una parrucca bianca altissima e Fred dei finti baffi molto lunghi, sai quando hai la sensazione che sta per succedere qualcosa di speciale? e infatti è stato l’inizio di tutto, quella sera tutti ballarono come pazzi, we have rocked the house! Inoltre io quella sera ho incontrato mio marito, mi ha passato una canna io gli ho offerto la mia birra e ci siamo innamorati a vita.

Vi considerate dei pionieri del punk?
Quando uscì il nostro primo omonimo album nel 1979 l’unica cosa che c’interessava era passare del tempo insieme divertendoci, non ci rendevamo conto di quello che stavamo facendo, forse proprio perché facevamo le nostre cose senza preoccuparci di nessuno abbiamo creato qualcosa d’unico e nuovo.

Vi sentivate come degli outsider all’epoca?
Yeah! What the hell! Veniamo da Athens, non è un posto dove accadono molte cose ma all’epoca era forse la città più liberale della Georgia ed era il posto giusto da dove venire nonostante fosse il più cheap del mondo.

Qual è l’outfit più assurdo che hai mai indossato?
Ahahah!My God, ricordo una parrucca enorme a forma di cuore con una luce che si accendeva ad intermittenza nel mezzo e i tacchi, avevamo dei tacchi così alti che a volte non passavamo dalle porte! E poi aspetta! Un’altra parrucca fatta a birdcage nera con dentro degli uccellini finti, non è incredibile? Can you imagine a wig like that?!

Qual è l’ultimo album che ti ha fatto urlare wow!?
Brian Ferry che canta Bob Dylan in Dylanesque, incredibile.

Nel 1998 avete pubblicato una raccolta antologica che avete chiamato Time Capsule, se dovessi creare oggi la tua capsula del tempo, quando qualcuno la scoprirà tra cento anni cosa ci troverà dentro?
Ahahah! Povero lui! Gooooosh! Ora come ora ci metterei dentro il mio lap top, la mia parrucca preferita, i miei tacchi alti neri, alcune mie poesie e… Oh my godness! Let it go…

The Charlatans


The Charlatans from Northwich, have created the brit pop scene, but differently from all the other bands of that period, they have survived during all these years and now they are pubblishing their 10th album. You Cross My Path is the record with which Tim Burgess’s band recover the energy and freshness of the beginning. Memorable rivals of the Stone Roses, they have influenced many bands, above all Oasis, even if the Gallagher’s bothers would have make themselves killed before admitting it.

Why did you decide to let people download your record for free trought
the Xfm website, before decided to release it physically?

We believe that more and more people are listenig to music but no one
wants to buy cds.
Downloads are huge, everyone downloads for free illegally we just made
it legal and we did ours because we wanted to stick two fingers up to the record indust
We wanted to get into as many peoples iPods as possible

What have brought you on these fresh and energetic direction
reminiscent of your early years, after the americana and folk influences
of your recent albums?

...Quitting drugs.
I was on a slippery slope towards becoming mediocre.

Is vengeance the subject of the single You Cross My Path?

Yeah! Kinda

How did you get in touch with the art of Faris Rotter, singer of The Horrors?
Have you suggested him to do something in particular for your cover or did you
let him free to do what he wanted?

I Met Faris on holiday in beachy head, east Sussex.
He told me he was in a band and I loved them as soon as I heard them.
When I was asked to do produce 'The Hatcham Social'
single, I was told Faris was doing the artwork.
I became actually a fan of his Edward gorey inspired art and actually
bought 3 pieces of his when he had an exhibition (he later told me he
would have given them for free) When the charlatans decided on a black
cat for the sleeve of You Cross My Path I thought a drawing by faris
would be awesome.
I was really glad he seemed keen to do it.
He asked what style
I told him I liked a blackbird/crow drawing he had at the exhibit He
said 'that is the only info he needed'
He drew me '5 cats on fire'
I said nothing
I think it is really awesome by the way...

Charlatans are one of the few bans that starting his career in the brit
pop era have continue making music without losing credibility, it was
hard to achieve this results?

I Personally think I will always be true to myself therefore I can
only be credible.
I am the real deal, if you don't believe me listen to our new record.

How do you see the music biz change since early 90's?
Who win the battle now: money or music?

The money has to come back to the musicians it will be a slow change
but we have been starved by the fat cats at the head of the
corporations.
Good music is made by people who are hungry, not people who are
starving,penniless,homeless and with bills to pay, and a threat of
jailtime over their heads. You don't have time to make music when you're an alcoholic trying to
take the pain of your own reality away. I know, I have been there.

Did you pay attention to the music scene around you now a days?

I love music and have always been interested in the music around me.
Today I am listening to paul weller's new album 22 dreams My favourites
and our opening act tonight 'The Hatcham Social' Ulterior are a new band
from Leeds check out their single 'Weapons' Its genius. Also I like to
shake it a little to Tiao Cruz ft Luciana - 'come on girl' (which is a
little worrying but hey.!!!)

If The Charlatans would be a new band today who do you think would be
their antagonist?

We can antagonize and have antagonized people with one word, a simple
song or a summer haircut. We just want respect from our peers. We have seen off our competition from the past, that unfortunately is just a fact of life.

The Charlatans gig are amazing, how did your reach these sound
perfection? Are you a fan of details?

Tony is a fan of 'Detail' Mark is a fan of 'Feel'
Martin is a fan of 'Muscle' and I a m a fan of 'Spirit'
Jon keeps us all in time i.e keeps the beat.
Guess that is our sound if you break it down into specifics.
For the new record we were very specific with what we wanted.

I grown up listening brit pop, I regreat the entusiasm in music of that
day, which is your best memory of that period you had?

I was obsessed with all things factory (Manchester record label) the
best memories were actually working in a chemical factory (ICI) and
listening to all this great local music (New Order, The Wake, 52nd
Street, ACR) I Could dream all day with my headphones on.

If the new album will be the soundtrack of a movie, wich movie would
be?

A movie about a person living in los angeles writing an album about
growing up in Manchester.

Is it true you will be release the album in a vinyl 45 box set? Do you
think the vinyl will hit the road again after the mp3 invasion?

There was talk of a 45 box set but we changed our minds and went for
the more common 12'' 33rpm.
I do love vinyl

This is your 10th studio album, do you have any feeling about it?

Yes I feel/we feel that is a contender for being our strongest record
to date.
We have come to realize that over the years the charlatans have released
albums that have really changed peoples lives (wonderland/telling
stories/us and us only and some friendly) and we are very respectful of
this.
But with the situation surrounding this record giving it away for free
etc we felt a certain revitalization and we feel the spirit of the
record really cuts through in a time of much blandness.

The Guillemots


Nel 2006 Trough the Windowpane, album d’esordio degli inglesi Guillemots fece sognare ben più di una persona, con inaspettate atmosfere eteree, spazi aperti, spiagge brasiliane e i tramonti. Oggi l’atteso seguito Red farà risvegliare bruscamente chi stava ancora sognando. I Guillemots aprono gli occhi, lasciano la malinconia da parte e si abbandonano alla vita, scoprendo di voler farci ballare, cantare, saltare, denudare, attraverso un mondo caleidoscopico fatto di suoni e visioni in cui predomina il colore rosso. Aristazabal Hawkes splendida bassista e unico elemento femminile della band di Birmingham ha fatto due chiacchiere con Hot.

Il Rosso è un colore che determina uno stato di allerta, sulla copertina del disco c’è un enorme gomitolo rosso che potrebbe essere anche visto come un pianeta, cosa volevate esprimere intitolando l’album Red?
Volevamo sottolineare tutti i segni d’allarme che ogni giorno ci troviamo di fronte, il momento storico che stiamo attraversando non potremmo certo definirlo bianco. La politica, la società, il clima, è tutto uno stato d’allerta.

Quindi non è un caso se Kriss Kross il pezzo che apre l’album comincia con una sirena e continua con un ritmo drammatico e incisivo?
No l’abbiamo messa come prima canzone intenzionalmente, questo brano però è stato registrato in una sinagoga, senza luce, senza riscaldamento, forse anche questa condizione ha contribuito alla dramamticità del pezzo. Ci stavamo congelando il culo!

Il vostro album di debutto era cinematico, sognante e romantico, il nuovo invece al primo ascolto è spiazzante, ci sono più chitarre, sintetizzatori e anche canzoni ballabili. Cosa ha determinato questa virata pop?
Trough the Windowpane era essenzialmente un album scritto da Fyfe (Dangerfield il cantante n.d.g.), quando siamo entrati in studio era tutto pronto, Fyfe aveva già chiaro in mente cosa fare e noi lo abbiamo seguito. Per Red invece ognuno ha contribuito alla stesura dei pezzi, Greig il nostro batterista in questi due anni ha raccolto un sacco di beats e di sample nel suo laptop che sono stati il nostro punto di partenza, ci siamo sentiti una vera band per la prima volta, improvvisavamo sopra questi beats mentre Fyfe scriveva i pezzi sul momento e dava suggestioni. Non siamo persone a cui piace ripeterci non avremmo mai fatto un album sognante #2.

Ho letto che avete usato strani strumenti per registrare le percussioni, me ne parli?
Abbiamo usato qualsiasi cosa trovavamo in giro, tacchi di scarpe, bottigliette, giocattoli, con il primo album tutti ci prendevano tutti troppo sul serio, ci facevano domande tipo: quali sono i vostri jazzisti preferiti?, Questa volta avevamo voglia di divertirci e ti assicuro che è stato così, nonostante gli up and down emotivi da studio.

Ma io mi riferivo allo strumento che cattura le onde sonore dei pipistrelli…
Oh sì! Fyfe ha portato in studio un “bat detector” in grado di percepire suoni che l’orecchio umano non sente. Lo abbiamo usato in Big Dog è stato molto strano perché le frequenze che questo strumento emetteva erano a tempo con il pezzo, sembrava in grado di seguire la nostra musica. Nella stessa canzone c’è anche il suono del motore di un camion convertito in un beat.

Get Over It è uno dei pezzi in cui si sente maggiormente il vostro cambiamento. Per questo lo avete scelto come primo singolo?
Anche per questo e perché è un bel pezzo, all’inizio era meno moderno e aveva un appeal più ‘60s, se lo ascolti attentamente puoi ancora sentirlo, solo che puoi ballarci sopra. Come ti ho detto abbiamo improvvisato molto, infatti Kriss Kross, Get Over It, Last Kiss sono tutte canzoni nate in questo modo.

Potrei descrivere Red come la tempesta dopo la calma?
Assolutamente! Volevamo creare un album in cui ogni canzone suonasse diversa, e non un disco in cui dopo aver ascoltato tre brani capisci subito come sarà il resto. Oggi con la iPod generation è difficile che qualcuno compri un album intero, tutto funziona a pezzi, noi abbiamo cercato di fare un album composto da pezzi che potrebbero essere tutti singoli. Volevamo fare un grande album fatto di canzoni pop da potersi ascoltare sia di giorno come sottofondo alla quotidianità che di sera per divertirsi sparato a tutto volume.

Sam Sparro


Sam Sparro è un performer, produttore e songwriter che sta invadendo il mondo con la sua musica ingegnosa e il suo stile innovativo. Black & Gold è il perfetto esempio di canzone crossover, un mix brillante tra rock, 70’s synth, 80’s pop, disco, house con una voce soul che ha attirato l’attenzione di artisti quali Chaka Khan e Prince. Il risultato è un album alternativo ma pronto a conquistare le masse con canzoni che spaziano tra i generi ma che riescono a mantenere uno stile riconoscibile. Nato in Australia in mezzo alla musica, il nonno fu il trombettista di Frank Sinatra e il padre è tutt’ora un apprezzato cantante gospel, a dieci anni Sam si traferisce in America a Los Angeles assorbendo e innamorandosi della musica nera, quì inizia un tour nel coro gospel in cui si esibisce il padre e partecipa come attore ad alcuni commercial. Raggiunta la maggiore età Sam si trasferisce a Londra dicendo: Sento che lì diventerò qualcuno. Aveva ragione.

Sei cresciuto in un ambiente artistico e religioso, quanto ha influenzato la tua musica?
Ho cominciato a cantare in chiesa a otto anni, allora vivevo a Los Angeles e le funzioni religiose in America sono molto diverse da quelle europee, loro cantano, hanno questi cori gospel grandiosi che sono una gioia per le orecchie, ti affascinano, da giovanissimo ho intrapreso un lungo tour con il coro gospel in cui cantava mio padre, è stata questa la mia formazione.
Black & Gold il tuo primo singolo è una canzone che parla di fede, è stata ispirata da quel particolare periodo della tua vita?
In un certo senso si. Black & Gold è un pezzo che nasce da una serie di domande molto semplici come: esiste davvero Dio? A cosa dobbiamo credere? E soprattutto ci serve credere in qualcosa? Io mi sono spesso perso in mezzo a queste domande perché non hanno una risposta concreta ma solo attraverso un percorso interiore privato si può arrivare alla propria verità.

E hai trovato la tua risposta?
Io credo che non ci sia una risposta. E’ una vita misteriosa la nostra.
Sidney, Los Angele e poi Londra, ti senti più vicino alla cultura Europea?
Mi piace molto l’Europa, soprattutto l’Inghilterra, è un paese molto aperto, di cultura, con una storia solida alle spalle e cosa molto importante le persone sanno godersi la vita, è un piacere viverci.

Il tuo album omonimo è come una grande scatola che ne contiene tante piccole, ciascuna con un colore diverso, una specie di matrioska ma fatta di musica, cosa ne dici?
Oh che cosa carina! Ciò che voglio è che le persone scoprano qualcosa di nuovo ogni volta che ascoltano le mie canzoni, non è un semplice album pop. Ho volutamente scelto di fare un album variegato anche perché io ascolto qualsiasi genere di musica, inoltre mi piaceva l’idea di creare un album per questa iPod generation e dare l’idea di aver selezionato la funzione shuffle a chi lo ascolta.

In Pocket, la canzone che apre l’album, canti : Yeah keep your friends close, and your enemies in your pocket. Hai più amici che ti stanno vicino o più nemici nelle tue tasche?
Sono sempre andato avanti per la mia strada senza guardarmi troppo intorno e sì, mi sono fatto dei nemici ma sono soprattutto quelle persone che pretendono di ottenere qualcosa fingendosi amiche. Ci sono un sacco di persone meschine e false, che cercano d’ingannarti, devo sempre dormire con un occhio aperto. Gli amici di cui posso realmente fidarmi, quelli veri sono pochi ma per me sono tutto.

Scegli tre artisti senza di cui la tua musica non esisterebbe:
Sade, Prince e i Daft Punk, li adoro, proprio non potrei vivere senza i Daft Punk!

Come nascono le tue canzoni?
Cantando sotto la doccia.

Hai dovuto superare molti ostacoli prima di trovare chi credesse nella tua musica?
L’ostacolo più grande è stato trovare il tipo di musica che mi descriveva meglio e trovare il mio stile personale. Credo che l’ostacolo più grande di ogni persona sia cercare di rendere la propria vita interessante.

Cosa ti esalta di più se pensi al tuo album?
Che è finito e che le perosne lo possono comperare e ascoltare! Ho passato così tanto tempo a lavorarci che non mi sembra vero che ora sia finito, ma sono pienamente soddisfatto non cambierei nulla nemmeno se potessi farlo ora. E poi chi poteva prevedere che così tante persone avrebbero apprezzato la mia musica, è incredibile, ho ancora la bocca spalancata.

Come descriveresti un tuo concerto, è rock, è più un dance party o uno show?
Stravagante come portare un coro gospel, la chiesa e Las Vegas in un club.

Come una serata al Limelight di New York negli anni ’80?
Esattamente!

Cosa vuoi che la gente conosco di te come prima cosa?
I don’t give a shit! Che sono una perona molto divertente e tutti mi devono amare.

Spesso vieni descritto come una diva, ti ci ritrovi in quest’etichetta?
No! Non sono una diva, chi mi conosce lo sa, ma mi piace atteggiarmi da diva, è divertente. Ma non m’interessa cosa pensa la gente di me, non me ne sono mai preoccupato.

Quando sei diva quali sono i tuoi stilisti preferiti?
Ksubi, Jeremy Scott e Garretth Pugh.

Portishead


Portishead
Nei primi anni ’90 i Portishead insieme a Massive Attack e Tricky inventarono il cosidetto trip-hop, tutte e tre le band si conoscono e all’epoca vivevano a Bristol, Uk nella stessa via. Li immaginiamo tutti insieme appassionatamente nello squat di Tricky a fumare come dei pazzi mentre si fanno un brainwashing sull’ultimo sample rubato ad un vecchio vinile di un’artista sconosciuto trovato al mercatino. Dopo due album che hanno scalfito la storia della musica Dummy e l’omonimo Portishead e il leggendario Roseland NYC Live, Beth Gibbons, Geoff Barrow e Adrian Utley si sono presi una lunga pausa dalla band dedicandosi ognuno a progetti personali e famiglia. Oggi nessuno sperava più in un nuovo album dopo annunci e smentite che hanno accompagnato questi dieci anni di silenzio. Finalmente Third è qui, ed è cattivo, oscuro, spietato, claustrofobico, tutto suonato con strumenti veri e comunque maledettamente Portishead. Geoff è arrivato a Milano per raccontare come è nato Third.

La prima parola che mi viene in mente per descrivere Third è apocalittico, è un termine che useresti?
Il sentimento che ripercorre all’interno di questo album è la frustrazione, ma non solo verso la politica che fa schifo, ma anche indirizzata alla razza umana. Abbiamo parlato molto tra di noi durante la lavorazione più di quanto abbiamo fatto per gli album precedenti, abbiamo discusso d’arte, di musica, di vita e abbiamo cercato disperatamente di riversare nelle nostre canzoni l’essenza di queste discussioni a volte con succcesso altre no, abbiamo cercato di rendere il più possibile interessante la nostra musica. Se ha senso direi che abbiamo fatto la cosa più innaturalmente naturale che potessimo fare. (ridacchia).

Saranno state discussioni estenuanti considernado che l’intero album sembra dirci “attenti il pericolo è dietro l’angolo”…
Sì puoi giurarci! Per questo il risultato suona come se Nico incontrasse i Public Enemy. Inoltre è il nostro album più suonato, io ho un serio problema con la tecnologia, nel senso che quando la usi in modo creativo è fantastica, ti permette di fare cose incredibili e inimmaginabili, folli se vogliamo ma più suono e più mi accorgo che il suono organico mi da più soddisfazione, la tecnologia va bene per samples o per stimolare le idee ma la musica suonata è più emozionante. So che in molti si aspettavano un album più elettronico ma siamo tre persone dalla forte personalità che si muovono d’istinto in modo imprevedibile e che odiano ripetersi.

Quanto sono importanti per i Portishead i dettagli?
Siamo ossessionati dai dettagli, cerchiamo di tenere sotto controllo qualsiasi aspetto del nostro lavoro che per noi non si esuarisce in studio o su un palco. Siamo fortunati perché abbiamo molti amici che ci aiutano nei visuals, negli artwork, non ci piace usare nomi di artisti famosi per far parlare di quello che facciamo.

Cosa rimpiangi del periodo trip hop?
La genuinità della musica, oggi le major pensano solo a far soldi, è tutto marketing, non c’è nulla di spontaneo. Guarda i ragazzini, passano ore davanti a Myspace, quando noi eravamo adolescenti volevamo solo ubriacarci e spaccare tutto! Ci sono cose che mi piacciono come Arcade Fire e Arctic Monkeys, di certo non mi troverete mai a cantare ad un concerto di James “fucking” Blunt.

Geoff, cosa credi renda una canzone perfetta?
Buone melodie abbinate a testi di spessore, un buon arrangiamento e l’utilizzo di strumenti in modo non convenzionale, quando la canzone riesce a trasmette un’emozione è buona.

Ma c’è un brano che per te rappresenta la canzone perfetta?
“Suzanne” di Leonard Cohen.

13 novembre 2008

The Ting Tings


Non sono facili da reperire The Ting Tings, a Londra il fenomeno attorno a loro è esploso inaspettatamente tanto che ora è difficile trovarli quasi quanto il biglietto per un concerto dei Radiohead.Chi l’avrebbe mai detto che un duo voce e batteria con canzoni semplici e ballabili costruite su filastrocche apparentemente infantili, avrebbe scosso in questo modo le charts. Il mediterraneo Jules De Martino e la biondissima Katie White hanno diverse esperienze alle spalle, lui come compositore e cantante dei Mojo Pin, lei giovanissima era un membro delle TKO band per teenagers tipo Step o Five, una di quelle trashate preconfezionate che solo gli inglesi sanno far funzionare in classifica. Poi il fato li ha fatti incontrare e la canzone Great Dj li ha resi celebri, oggi il loro primo album We Started Nothing è inchiodato al numero uno della classifica inglese, stessa sorte è toccata al loro secondo singolo That’s Not My Name. Dopo varie peripezie riesco a raggiungere via telefono Katie che mi risponde con uno sbadiglio. Ma come? La band più colorata, divertente e danzereccia del momento mi saluta sbadigliandomi in faccia alle tre del pomeriggio? Glielo dico e…
“Scusami, ieri sera abbiamo avuto il nostro primo concerto come headliner al London Astoria, poi siamo usciti e ci siamo ubriacati, Jules sta ancora dormendo io sono in hangover e mi scoppia la testa ma è stato grandioso! Ora è ufficiale, il popolo londinese ci ama!”

Dopo un successo bisogna sempre festeggiare! Anche se a giudicare da come vi stanno andando le cose potreste festeggiare con un hangover ogni giorno, ma veniamo all’album We Start Nothing un titolo che sembra una dichiarazione, un modo per mettere le mani avanti e non rimanere intrappolati nell’hype del momento?
In realtà il titolo si riferisce al fatto che abbiamo formato una band senza l’intenzione di volerla formare, eravamo molto amareggiati nei confronti della discografia dopo le brutte esperienze che sono capitate ad entrambe. Le nostre canzoni le abbiamo composte principalmente per i nostri amici, non pensavamo attorno a noi diventasse tutto così serio, proprio nel momento in cui eravamo disillusi su tutto. L'aver messo il pezzo che da il titolo all'album in chiusura è più legato al discorso che hai fatto tu.

Le vostre canzoni sono molto semplici, catchy pop e dance beats che s’incollano nella testa, si ascoltano e si cantano all’istante, è questo il segreto del vostro successo?
Io sono cresciuta con la musica pop, a scuola avevo l’astuccio delle Spice Girls e ascoltavo i Backstreet Boys, avevo quattordici anni e la radio non passava altro! Credo che saper scrivere canzoni che rimangono impresse sia un dono che hanno in pochi quindi grazie, poi non so se è un segreto ma è il nostro modo di vedere la musica.

E’ vero che il vostro primo singolo Great Dj è nato tramite un tuo sbaglio?
Yeah!Circa un anno fa eravamo al The Mill a Salford, è un posto fantastico, un punto di ritrovo e di riferimento per artisti, filmaker, designer, un posto molto creativo in cui si fanno anche mostre d’arte, e dove noi abbiamo creato il nostro album. Jules stava suonando la batteria e io che non avevo mai suonato la chitarra prima di allora mi sono applicata alla corda d per ore, ad un certo punto Jules mi ha urlato: mi stai facendo impazzire cambia ti prego! Mi sono quasi spaventa e ho spostato velocemente le dita sulle corde all’improvviso ed è uscito uno strano suono che è diventato Great Dj.

Un incidente fortunato!
Mai avremmo immaginato verso cosa ci avrebbe condotto quel pezzo, noi pensavamo di far musica per divertirci e suonare alle feste nulla di più. Eravamo disillusi, abbiamo avuto entrambe esperienze pessime con la discografia ma è stato Mike Pickering creatore degli M People a convincerci a farci firmare per una major, ci siamo fidati perché è una persona che lavora nell’ambiente da anni e ha firmato artisti come The Gossip, Kasabian e Mark Ronson.

Come canti in Gret Dj “The drums, the drums, the drums…” proprio la batteria è l’elemento costante che caratterizza le vostre canzoni…
Sì lo è anche perché la batteria è l’unico strumento che ci ha permesso di poter fare musica, io suono appena la chitarra e Jules è batterista, non volevamo altri membri nella band quindi la scelta possibile è stata una sola, quindi abbiamo usato la batteria come elemento di partenza e creato il resto con la tecnologia.

Nel video di Great Dj fate un balletto coreografato, lo proponete anche dal vivo?
No, non possiamo altrimenti chi suona?! Ti racconto un aneddoto divertente, volevamo fare un video con un balletto simpatico così il regista a fatto arrivare sul set un coreografo molto famoso e questo serissimo ha iniziato a farci vedere una coreografia tipo Flashdance, con calci in aria e piroette che noi avremmo dovuto eseguite! Dopo un attimo di sbigottimento in cui non sapevamo se ridere o piangere di fronte a quelle mosse gli abbiamo detto che noi non potevamo eseguire una coreografia di quel tipo, primo perché non ne saremmo stati capaci e poi perché non volevamo apparire come due idioti! Lui si è arrabbiato moltissimo e ha lasciato lo studio sbraitando e così dopo esserci ripresi dallo choc in cinque minuti seguendo il ritmo della canzone abbiamo fatto il balletto che vedi ora nel video.

I vostri testi e il modo in cui canti suonano spesso come una filastrocca, è una particolarità imposta o nata per caso?
La mia voce è al tempo stesso la melodia delle canzoni, si è vero a volte sembra che non ho il tempo di riprendere il fiato ma questo è il mio modo di cantare.

Jules De Martino ha un cognome italiano sai dirmi quali sono le sue origini esatte?
Certo è pugliese di Foggia, quando l’ho conosciuto io vivevo a Manchester e lui a Londra dove ora abitiamo entrambi.

Quale storia si cela dietro a That’s Not My name?
Letteralmente non è una canzone che parla di qualcuno che si è dimenticato il mio nome, ma racconta di quanto io e Jules eravamo frustrati nei confronti del music biz, delusi, illusi, e invisibili alla maggior parte degli occhi come se non esistessimo, senza volto e senza nome. Abbiamo trasformato il concetto in una canzone divertente anche se ci ricorda un brutto periodo. A screwing and fucking song!

Dimmi tre band che sono state essenziali per la tua formazione artistica:
Talking Heads, Tom Tom Club e Blondie.

Foals


Sembra piccolo e minuto Yannis Philippakis in mezzo ai suoi Foals, ma la verità è che gli altri membri della band sono dei colossi e lui quasi vi scompare nel mezzo, ma quando sale sul palco con il suo forte carisma ed una presenza scenica invidiabile ai più si vede solo lui, sono gli altri a scomparire al suo cospetto. Yannis con i suoi balletti nervosi si agita, suda, suona la chitarra tenedola alta, con la tracolla che sembra quasi strozzarlo mentre contribuisce a forgiare l’intruglio sonoro di Antidotes l’album più innovativo di questo 2008 in cui ritornelli catchy alla Franz Ferdinand, si scontrano con strutture care ai Talkin Heads, al punk funk pruriginoso dei Rapture e si mescolano ad accenni di techno minimale. Tutto arricchito da una sezione fiati fortemente voluta dal produttore Dave Sitek mente dei TV On The Radio. Yannis ci aspetta nell’ufficio della venue milanese, sigaretta in bocca, piedi sul tavolo, sguardo affascinante e consapevole, mi sembra un boss di qualche organizzazione segreta fashionista:
“Prego accomodati nel mio ufficio! (scoppia a ridere) Mi sento un boss della CIA negli anni ’70 è bellissimo qui anche se mi mette un po’ d’ansia, ma sai siamo stati due giorni ad Amsterdam e non abbiamo fatto altro che fumare erba, ho il cervello ancora annebbiato mi scuso in anticipo”.

Non preoccuparti, vuol dire che ad Amsterdam vi siete divertiti…
Siamo a pezzi a dir la verità e abbiamo appena cominciato, pensa che il tour finirà intorno a Natale. Se devo essere onesto non vivo il tour come un’esperienza appagante, ci piace suonare dal vivo non fraintendermi ma preferisco il processo creativo delle cose rispetto a quello pratico. Voglio fare un nuovo disco subito, mi piace comporre e creare e vedo ogni altra cosa come una distrazione.

Questo perché siete già stanchi di suonare le canzoni di Antidotes?
No, mi piace suonare, ma non mi piace pensare cosa suonare, preferirei improvvisare e creare qualcosa di nuovo, come quando hai quindici anni e prendi in mano per la prima volta la chitarra. E’ eccitante.

Considerate l’album come un antidoto alla scena ormai consunta di Hoxton?
Oh, gli eroi di Hoxton! (ride) Non lo so, potrebbe anche esserlo ma non è il motivo per cui abbiamo intitolato l’album così. E’ più una domanda, le tematiche delle canzoni affrontano dei problemi e cercano in qualche modo di porvi rimedio, è più un bisogno individuale di trovare un antidoto che il proponimento di una cura.

Il pezzo che apre l’album s’intitola The French Open, lo considerate una canzone o più un intro all’album?
Non è stato scritto come un intro, ma credo che per la sua posizione su disco e per come introduce gli strumenti che sono gli elementi che andranno poi a creare l’intero album possa essere considerato come tale. In effetti anche il testo introduce le tematiche dell’intero disco che parla di giochi finiti in un disastro, nello specifico la canzone si rifersice al tennista Andy Roddick, sono affascinato dal tennis, ho letto un libro Infinite Jets di David Foster Wallace parla di droga e tennis e mi è rimasto molto impresso. Andy è una star americana, ha un servizio più forte di chiunque, è bello, ma è anche vulnerabile come tutti noi. Lui stesso è in cerca di un antidoto.

La struttura delle vostre canzoni è insolita e gli strumenti hanno un ruolo leader rispetto ai vocals, cosa vi ha spinto verso questa scelta?
Sono d’accordo sulla struttura ma credo che gli strumenti e i vocals siano equi, certo non abbiamo il classico strofa ritornello strofa, a volte il ritornello è solo strumentale, le parti vocali sono registrate molto alte e il ritmo è prioritario in ogni traccia. Non c’è stata una vera scelta di stile, ma più un evolversi naturale del nostro stile, credo dipenda anche dal fatto che sono sempre stato un grande fan di gruppi strumentali come i Godspeed You! Black Emperor o il compositore Steve Reich. Mi piace molto anche la world music e sebbene non posso capire i significati del testo mi piace godere della sua essenza musicale. Ci piace mantenere un processo creativo democratico dando lo stesso risalto alla musica, ai testi, all’artwork, ai video, non vogliamo sottovalutare ne privilegiare nessuno di questi aspetti. Dave-Ma che ha fatto l’artwork dell’album e i video di Balloons e Cassius non è un video maker professionista, è un nostro amico che lavora in un kebab shop a Londra, è molto bravo e conoscendoci da tempo è in grado di capirci.

Il video di Cassius con i cuori è molto bello ma ha generato diverse controversie…
Tutti ci hanno stressato con questa storia dei cuori! Perché i cuori? Ascoltatevi il pezzo, il ritornello dice “The wind is in my heart” ecco perché i cuori. Non sono interessato al professionismo, la nostra etichetta ci ha dato dei soldi per fare un buon video e noi come dei ragazzini in vacanza da scuola lontano dagli occhi dei genitori siamo corsi a comperare una montagna di cuori in macelleria per fare il video. Ci piace divertirci, creare qualcosa di personale correndo il rischio di non essere capiti.
Cosa tiene in bocca il ragazzo raffigurato sulla copertina, sembra un miscuglio di denti rotti e pillole…
Esatto e anche fiori. Volevamo ottenere un effetto impressionante.

Arte, cinema e musica, quale ti ispira di più?
Sicuramente l’arte di Francis Bacon, un artista terrificante che ha avuto un forte impatto sulla mia crescita atistica.

E’ stato difficile combinare sax, trombe e trombone con il rock?
E’ stato strano all’inizio anche perché quando abbiamo scritto le canzoni non avevamo in mente quegli strumenti. Quando abbiamo deciso di farci produrre l’album da Dave Sitek ho passato ore al telefono con lui prima di volare con la band a New York nel suo studio. Volevamo che il disco si distinguesse per delle peculiarità ben precise, Dave ci ha fatto ascoltare molti afro-beat ed essendo anche io un fan della musica di Fela Kuti è stato quasi naturale spostarci in questa direzione che ha colori forti e tessiture che si discostano da qualsiasi altra rock band. Dave ci ha condotto attraverso un viaggio, il suo studio era sempre invaso dal fumo, era estate e a New York si soffocava, io registravo i vocals in una stanza e oltre il vetro umido e appannato vedevo gli altri suonare avvolti dalla nebbia. E’ stata un’esperienza folle, non ho mai conosciuto una persona che fuma tanta erba quanta ne riesce a fumare Dave, ma è anche l’unico genio vero che abbia mai incontrato, nonostante abbia un atteggiamento ostile.

Antidotes è un album che necessita più di un semplice ascolto prima di essere assimilato, credi che vi penalizzerà?
Dipende da come guardi le cose, sicuramente sarà un ostacolo per chi ascolta Shakira! Dal mio punto di vista i dischi che si assimilano facilmenti hanno vita breve, forse è difficile entrare nel nostro mondo ma una volta aperta la porta è come un susseguirsi di pop up che si svelano ascolto dopo ascolto.

Cosa mi dici della vostra collaborazione con Four Tet?
Prima di andare a New York avevamo tre tracce finite: Balloons, Tron e Cassius. Ci siamo chiusi in una stanza con Four Tet per tre giorni e abbiamo estrapolato delle piccole parti da ciascuna canzone creando delle specie di versioni extended improvvisate, abbiamo registrato una lunga sessions e poi ce ne siamo andati lasciando il tutto nelle sue mani. Saranno presto realizzate su vinile e come b-side durano dieci minuti ciascuna e hanno un forte dance appeal.

Qual è la tua ossessione?
Oltre la musica?... Coltivare piante, ortaggi e fumare erba.

Blood Red Shoes


I Blood Red Shoes sono un duo di Brighton, Uk, lei mora, algida e riot inside, lui ricciolo biondo, pallido, efebico, cresciuti a suon di grunge se pur molto giovani hanno una fitta carriera underground alle spalle. Un comune amore per il suono di Seattle e per il gusto gore gli hanno fatto lasciare i rispettivi band mates per formare un esclusivo duo. Nonostante l’accoppiata uomo/donna porti ad inevitabili paragoni, i Blood Red Shoes non hanno nulla a che fare ne con il rock fashionista dei The Kills tanto meno con il post-rock blues dei The White Stripes. Box Full Of Secrets è un album tirato, ruvido, diretto, ma con ritornelli orecchiabili e coretti yeah yeah da cantare a squarciagola quando si ascolta e da pogare fino allo svenimento quando si vede eseguito dal vivo. Sangue e sudore, eros e psiche, energia e bellezza, Steven Ansell voce e batteria e Laura-Mary Carter chitarra e voce aggrediscono lo spettatore con un muro di suono che lascia sbigottiti e sazi, due caratteri opposti che si completano, sapori che si mescolano, immaginate una bistecca cotta al sangue con sopra una pallina di gelato alla fragola, questo è il gusto dei Blood Red Shoes.

Cosa vi ha spinto ha lasciare le rispettive band in cui suonavate per formare i Blood Red Shoes?
Laura-Mary: In realtà entrambe abbiamo lasciato le nostre band perché eravamo annoiati dalla muscia che stavamo facendo, eravamo amici ma non avevamo intenzione di formare una band nostra, abbiamo cominciato a suonare insieme perché non avevamo nulla da fare. Un giorno siamo andati da Brighton a Londra per improvvisare un po’ in studio e vedere cosa succedeva, mentre suonavamo è passato un ragazzo che ci ha chiesto: siete una nuova band? Noi abbiamo risposto di sì e lui ci ha offerto un concerto in città dopo pochi giorni. Incoscienti abbiamo accettato senza nemmeno avere un nostro pezzo finito.
Steven: Così è cominciato tutto, abbiamo scritto tre canzoni in una settimana che successivamente sono finite sul nostro primo 7” Victory for the Magpie e poi sono cominciate ad arrivare richieste una dietro l’altra e noi abbiamo ricominciato a pagare l’affitto. Non avevamo ne una label, ne una sterlina in tasca, per fortuna ora abbiamo entrambe ma suonare il più possibile ci ha aiutati ad andare avanti. Piuttosto di ritrovarmi a lavorare in un ufficio mi sarei lasciato morire sul divano di casa.

L’amore per il grunge e una forte passione per il grottesco sono gli elementi essenziali della vostra musica, sono passioni che vi accomunano?
LM: Il gore è una mia passione, sono sempre stata attratta dal sangue, i disegni che vedi sulle nostre copertine sono miei, credo che rispecchino molto la nostra msica che è “loud and nasty” ma con un lato ironico.
S: Ci piacciono molto i contrasti, mi piace che nelle foto sembriamo due bravi e dolci ragazzi ma con il sangue che ci cola dal naso. Credo che anche le nostre canzoni seguano questa linea, hanno delle melodie dolci ma allo stesso tempo sono molto noizy e credo che questo sia in parte influenzato dal periodo grunge che è stato il nostro primo approccio alla musica quando eravamo poco più che bambini.
L’artwork di I Wish I Was Someone Better in cui è raffigurata una torta nuziale con in cima una sposa decapitata è geniale…
LM: Quel disegno è il regalo che ho fatto a mia sorella dopo che ha annunciato il suo marimonio in famiglia.
S: In Giappone è stata censurata ed è paradossale se pensi a tutti i film d’arti marziali con teste decapitate e arti amputati che producono.

Tornando alla canzone, quando è stata l’ultima volta che avete pensato “vorrei essere una persona migliore”?
LM: Probabilmente ogni giorno!
S: Ci sono alcuni concerti in cui sono particolarmente sballato e cambio il testo in I wish I was a better drummer!
Siete di Brighton e il vostro singolo più conosciuto s’intitola It’s Getting Boring by the Sea. Io personalmente trovo la vita da spiaggia molto noiosa, ma voi al mare ci vivete, sono curioso di sapere da cosa nasce il testo di questa canzone…
LM: E’ una canzone che si riferisce alle persone che vivono a Brighton, ci piace molto la città e viverci ma pensiamo che la maggior parte delle persone che ci abitano siano noiose. Noi usciamo dalla scena punk, che è poco popolare a Brighton, non siamo mai stati capiti fino in fondo.
S: Credo che le persone di Brighton abbiano un punto di vista un po’ troppo ristretto musicalmente parlando. Tutti pensano a Brighton come ad una città molto libera e aperta ma non nella musica.

Le vostre canzoni sprigionano energia positiva e il modo in cui le vostre voci interagiscono è molto naturale, come se per voi fosse normale cantare e suonare in questo modo, è così?
S: Abbiamo un modo naturale di provare e cantare, alcune canzoni nascono molto in fretta e rimangono così come sono, se qualcosa ci piace non ci torniamo sopra perché la spontaneità è una nostra prerogativa.
LM: Secondo me in un duo le voci sono fondamentali, nel senso che suonando solo chitarra e batteria le voci diventano a loro volta strumenti. Dal vivo siamo molto più punk perché siamo solo noi due senza nessun effetto aggiunto.

Il nome Blood Red Shoes è una specie di omaggio alla fiaba Scarpette Rosse di Andersen?
LM: No, ho visto il film di recente e mi è piaciuto, ma il nome viene da una storia basata su Giner Roger e Fred Astaire, si dice che mentre giravano il musical Follie D’Inverno hanno dovuto provare la scena finale così tante volte che alla fine ad entrambi sanguinavano i piedi.

Passate moltissimo tempo insieme, le prove, le registrazioni, il tour, condividete persino un appartamento e non siete fidanzati, come riuscite ad andare d’accordo, non ci sono momenti in cui vorreste dire: adesso basta!?
S: Molti! (scoppiano a ridere) In realtà è bellissimo e difficile contemporaneamente, la maggior parte del tempo godiamo l’uno dell’altra e la verità è che frequentiamo pochissime persone al di fuori. Ma ora siamo così occupati che non abbiamo tempo per pensare a nient’altro.
LM: E poi quando capita che siamo lontani passiamo moltissimo tempo a telefonarci e a mandarci email.

Com’è la vostra casa?
S: Piena di cianfrusaglie di Laura-Mary, io non ho spazio per nulla!
LM: E’ vero ho un sacco di oggetti come porcellane cinesi, ho tantissimi gioielli sparsi dappertutto ma solo oro e argento perché la plastica non mi piace, i miei disegni, vestiti… è un casino!

La vostra scatola dei segreti è piena al momento?
S: E’ sempre piena, abbiamo un sacco di segreti, soprattutto all’interno della band e non abbiamo intenzione di dirtene neanche uno! Siamo cattivi!

20 maggio 2008

Gallows


I Gallows sono il gruppo hardcore più chiacchierato del momento, live dopo live si sono conquistati una solida fan base e da Watford, piccolo villaggio inglese, hanno invaso letteralmente il mondo. Orchestra of Wolves; Orchestra di Lupi, è il titolo del loro album di debutto balzato alle cronache dopo un furente passaparola di fan rimasti estasiati dalle performance della band capeggiata da Frank Carter: ventitre anni, tatuatore ricoperto di tatuaggi, capelli rossi, occhi azzurri, straight edge e sul palco una vera furia. Frank ha una precisa filosofia di vita alla quale non intende sottrarsi e non provate a dirgli che è cool altrimenti il lupo che è in lui vi aggredirà.

Il vostro punk rock suona come un pugno in faccia. Non ricordo il tempo che una band come la vostra abbia ricevuto tanta attenzione da parte della stampa inglese. Secondo te perchè i Gallows sono diventati un fenomeno chiacchierato da tutti?
Onestamente non me lo spiego, non ho ancora capito cosa ci sta succedendo e perché, l’unica cosa che so è che abbiamo la possibilità di suonare ovunque ed è grandioso, siamo in giro da circa tre anni e solo oggi l’industria discografica si è accorta di noi, ci ha offerto un contratto e ha ristampato Orchestra Of Wolves il nostro debutto autoprodotto. Abbiamo chiesto e ottenuto è di non cambiare la nostra musica e di poter continuare a fare quello che abbiamo fatto sino ad oggi. Ho l’impressione di essere nella miglior band in circolazione e sono molto eccitato per questo, non vediamo l’ora di metterci al lavoro sul prossimo disco, siamo consapevoli di tutto quello che dovrà ancora succederci ma anche di quanto abbiamo da offrire. Un hardcore band che si fa largo nelle chart è fantastico e a tratti incredibile, cosa possiamo desiderare di più!

Sembra che avere tutto sotto controllo sia una peculiarità per voi…
Cerchiamo di tenere tutto sotto controllo, compresi noi stessi, siamo una band basata sul controllo totale, non faremo mai qualcosa che non ci va di fare altrimenti non saremmo in pace con noi stessi.

Quali sono le fondamenta musicali dei Gallows?
Ska, punk, indie, metal, non mi sono mai fissato su un genere, ascolto di tutto da sempre, se una canzone conquista la mia attenzione non mi importa di che genere è, di conseguenza le nostra musica è influenzata da qualsiasi genere musicale pur essendo hardcore.

Orchestra of Wolves è un titolo che si sposa perfettamente con la vostra musica, come’è nato?
I lupi sono uno i miei animali preferiti, volevo si capisse subito che siamo una band in grado di mordere e di attaccare le persone con la nostra musica, come se un branco di lupi fosse rinchiuso dentro al nostro album.

Hai solo ventitre anni e hai deciso di adottare uno stile di vita straight edge che significa, no fumo, no droghe, no alcool, no sesso occasionale. Conoscendo le abitudini dei teenager inglesi che sono esattamente l’opposto mi chiedo cosa ti ha portato verso questa decisione?
Nulla, non ho mai bevuto, non ho mai fumato e non mi sono mai drogato questo sono io e non voglio niente che non sia mio nel mio sangue.

Contrariamente alla musica mi sembra che i tuoi testi siano particolarmente accessibili, è una scelta ragionata?
Credo di scrivere testi con cui le persone possano confrontarsi, non mi piace scrivere di cose di cui non conosco, mi piace l’idea di poter scrivere testi accessibili a tutti perché penso che in questo modo molte più persone potranno apprezzare le nostre canzoni. La musica può anche essere difficile ma i testi devono essere accessibili. Abandon Sheep ad esempio parla di una relazione che arriva a fine corsa e In The Belly of a Shark parla della solitudine che bisogna attraversare alla fine di una relazione, sono storie semplici e comuni ma che esprimono emozioni.

E’ vero che alcuni puristi della scena hardcore vi hanno attaccato dandovi dei venduti perché avete firmato un contratto discografico?
Dipende da come vedi le cose, noi veniamo dalla scena underground è lì che siamo nati, abbiamo fatto incredibili show senza guadagnare soldi ma non ci siamo imposti di rimanere legati a questo ambiante, quando fai musica vuoi vederla crescere e farla arrivare a molte persone e quindi rimanere underground è impossibile a meno che non si decida di suonare tutta la vita per gli amici. Io sono contento di avere intrapreso una carriera e quindi a queste persone rispondo: Fuck You! Non mi interessa cosa pensano.

I vostri show sono molto selvaggi, tu scendi tra il pubblico e cerchi sempre un contatto fisico con le persone, gli canti letteralmente addoso, ti perdi nella musica o fa parte della performance?
Io non perdo mai il controllo, anzi quando sono sul palco io ho il controllo di ogni singola parte del mio corpo, forse chi mi guarda pensa che perdo il controllo ma è esattamente l’opposto. E’ una questione di passione estrema.

Cosa mi dici del tuo lavoro come tatuatore?
Non ho mai smesso di fare tatuaggi, è quello il mio lavoro, anche se ora con i Gallows sto vivendo qualcosa di grandioso. L’industria discografica non è solida, non si può sapere cosa succederà quindi è bello poter sapere di avere un lavoro quando tutto questo finirà.

Hai un genere preferito?
Mi piacciono i tatuaggi old school, i traditional sono i migliori.

Qual’è la tua paura più segreta?
Ho paura delle balene, mi terrorizzano.

Cosa ti fa più arrabbiare?
L’ignoranza e le persone che mi fanno sprecare tempo.

Cosa rispondi a chi ti ha eletto personaggio cool dell’anno?
I don’t give a fuck!

Consigliaci un disco:
“This is where the Fights Begin” dei The Ghost of a Thousand è una band di Brighton che scrive canzoni incredibili con dei testi veramente interessanti.

MGMT


Attenzione! La miccia della Grande Mela, spenta dal debutto di Stroke & co., si è riaccesa con un nuovo suono, apocalittico, primitivo, psichedelico creato da due giovani boys di Brooklyn che si fanno chiamate MGMT. Con un immaginario che spazia dal batik alle multinazionali Oracular Spectacular è un album elettrizzante che fa rizzare i peli delle braccia ascolto dopo ascolto, un debutto come se ne sentono pochi e che si apre con Time to Pretend, canzone che si burla del music biz di cui gli stessi MGMT fanno parte, e che con una frase come: “Let’s make some music make some money, find some models for wife. I’ll move to Paris, shoot some heroin and fuck with the stars” si merita la candidatura a singolo dell’anno senza discussioni. Divertenti, naive, cinici, imprevedibili, avant garde, la giusta dose tra experimental e pop. Andrew VanWyngarden, voce e Ben Goldwasser, synth, tastiere e backing vocals sono in arte gli MGMT (previously known as The Management).

Ben, è vero che avete iniziato a fare musica per gioco e che durante il vostro primo concerto avete suonato per venti minuti la colonna sonora di Ghostbusters?
Sì. In realtà è stata una via di mezzo tra gioco e realtà, non ci piace prenderci troppo sul serio, non sono mai riuscito ad apprezzare la musica di un artista troppo pieno di sé e poi la colonna sonora di Ghostbuster è un vero capolavoro. La verità è che abbiamo iniziato a comporre canzoni pop per divertirci senza l’intenzione di diventare una vera band, ma poi ci abbiamo preso gusto.

MGMT è un nome dall’aspetto politico come sembra o avevate altro per la testa?
Volevamo un nome che suonava come una misteriosa corporazione più che ad un qualcosa di politico, anche se nelle nostre canzoni ci sono diversi riferimenti e alcuni di questi toccano temi politici ma senza la presunzione di voler dire cosa è giusto e cosa no, esponiamo il nostro punto di vista.

I vostri testi sono molto criptici è questo che intendi dicendo che non volete schierarvi, preferite che ognuno li interpreti a modo suo?
Tra di noi parliamo molto del significato specifico di ciascuna canzone ma non ci piace forzare le persone, credo sia giusto che ciascuno vi trovi il proprio significato, è una delle libertà che solo la musica può dare. Mi capita spesso di ascoltare canzoni e di attribuirvi un significato e poi scoprire dall’artista stesso qual’era il suo punto di vista e pensare: cavoli il mio è più bello! Quindi perché privare ciascuno della propria immaginazione?

Time To Pretend suona come uno statement contro il music business, il controsenso è che avete appena firmato per una major, come lo spieghi?
Abbiamo avuto l’opportunità di creare quest’album e di poterlo pubblicare così com’era senza restrizioni ne cambi, è figo e credo che le cose potranno cambiare in futuro, forse tutto questo controllo presto finirà perché gli artisti stanno iniziando ad andersene proprio per questo motivo, quindi se le major non ne prendono coscienza sarà la loro fine. Non avrei mai pensato di poter sentire una delle nostre canzoni alla radio, sono un po’ troppo distanti dai loro canoni tradizionali e probabilmente senza aver firmato per una major non sarebbe stato possibile.

Nelle vostre canzoni e anche nel vostro look c’è un feeling apocalittico, primitivo e futuristico allo stesso tempo, cosa vi ha portato verso questo risultato?
Parliamo un sacco delle nostre canzoni, mi ha sempre divertito l’idea di due musicisti che passano ora a discutere su un pezzo, mentre scrivevamo l’album pensavamo e discutevamo molto del futuro, di come sarà, e ciò che ne usciva non era nulla di buono, è uscito un futuro buio, una sorta di ritorno alle origini della terra in cui le persone vivono come primitivi sulla spiaggia. L’apocalissi e la rivelazione sono due punti centrali dell’album. Per il calendario Maya il 21 dicembre del 2012 sarà la fine del mondo e noi ci siamo immedesiamati molto in questa situazione nel concepire Oracular Spectacular.

Hai mai incontrato un oracolo sulla tua strada?
No! Conto di incontrarne uno prima del 21 dicembre 2012.

Dal vivo le vostre canzoni cambiano molto, siete più distorti, psichedelici e lasciate molto spazio agli strumenti, non rischiate di confondere le idee di chi viene a vedervi?
Dal vivo siamo simili ma diversi, le canzoni nell’album seguono una struttura mentre live lasciamo molto spazio all’improvvisazione, le canzoni sono più ruvide e rock’n roll. Sì, non siamo esattamente ciò che la gente si aspetta nel senso che spesso veniamo confusi per una band elettronica, chi viene a vederci pensa di andare ad un dance party e invece si sbaglia. Ci diverte molto questa confusione.

The Niro


Anche se si definisce “An Ordinary Man” come titola l’e.p. che ha preceduto l’omonimo album, The Niro d’ordinario non ha proprio nulla, soprattutto se paragonato alla scena musicale italiana che lo circonda. Cantautore romano, ha stupito chiunque lo ha visto suonare dal vivo con un appeal seducente e canzoni cantate rigorosamente in inglese. Quello di The Niro è un mondo in bianco e nero ma ricco di sfumature, malinconico, viscerale e ambizioso, le sue canzoni scalfiscono il cuore e lacerano l’anima, la sua voce morbida ma tagliente lo ha fatto accostare a cantautori internazionali quali Jeff Buckley o Elliot Smith. Da tempo la scena cantautoriale italiana aspettava il suo outsider, ora c’è e si chiama The Niro.

Come nasce artisticamente The Niro?
The Niro inizia a suonare molto piccolo, mio padre era un batterista, smise di suonare la batteria negli anni ’70 e la lasciò in camera mia, quindi iniziai a scoprirla molto piccolo e a sette anni la suonavo. Verso i tredici anni inizio a suonare chitarra e basso ma la batteria rimane il mio approccio vero alla musica tanto che nelle prime band in cui suono faccio il batterista. Poi la voglia di scrivere canzoni mie prevale e quindi torno alla chitarra, lascio le band in cui militavo all’epoca ed estrapolando membri da ciascuna formo la mia squadra e insieme decidiamo di chiamarci The Niro. Il progetto dura circa due anni ma nel 2004 mi trovo da solo e mi tengo il nome proseguendo per la mia strada.

The Niro è un nome geniale, come ti è venuto?
Tutti quelli che ascoltano la mai musica mi dicono da sempre che ha un’atmosfera molto cinematica, così ho cominciato a pensare nomi e riferimenti al cinema e alla fine durante un concerto dei No Twist a Roma, in cui mi stavo annoiando da morire, parlando di questa ipotesi con i miei compagni di allora e passando per i vari Monroe e Bogart è uscito il nome The Niro.

Ascoltando la tua musica i primi riferimenti che compaiono sono Jeff Buckley, i vecchi Radiohead e in un secondo momento molto brit pop. Sei d’accordo?
Allora, quello di Jeff Buckley non è un riferimento voluto, io sono convinto che più si ascolta l’album e più questo paragone andrà scemando. Jeff Buckley l’ho scoperto dopo che tutti hanno cominciato a paragonarmi a lui, prima non lo conoscevo se non di nome. Ora lo adoro ma sono più fan del padre Tim, Lorca e Starsailor sono due tra i miei dischi preferiti di sempre, la sperimentazione e la follia mi hanno sempre affascinato, anche più del mondo cantautoriale che mi è arrivato per accostamenti con Nick Drake o Morrissey.Io sono depresso, triste e malinconico e questa non è una prerogativa di pochi. Per quanto mi riguarda io sono cresciuto con il metal degli Iron Maidem, poi è arrivata la progressive e poi il brit pop, mi fa piacere se hai sentito questo riferimento.

Oggi chi ti entusiasma?
Sufjan Steven e i Mars Volta, due artisti che sono arrivati al successo facendo quel che gli pare. Mi piace chi compone senza seguire canoni prestabiliti risultando diversi ma non in modo forzato. Per quanto invece riguarda me stesso, mi piace la forma canzone ma con il particolare.

Hai aperto i concerti di Badly Drawn Boy e Amy Winehouse, com’è stato?
Fantastico. Una forte emozione che mi ha dato una grande visibilità, soprattutto suonare per Badly Drawn Boy un artista che stimo molto.

Sei italiano, canti in inglese e il tuo e.p. An Ordinary Man è in cima alle classifiche, come te lo spieghi?
Non me lo spiego!Sono in classifica in compagnia di Rihanna e Lenny Kravitz e mi fa strano soprattutto perché al momento sono l’unico italiano presente nelle quindici posizioni dei singoli con un e.p. che è tutto fuorchè commerciale. Questo mi fa pensare che forse l’Italia è pronta per qualcosa di diverso se mi ha fatto arrivare al terzo posto, in qualche modo credo di aver abbattuto una barriera anche se preferisco non sapere quante copie ho venduto considerando quanti dischi si vendono oggi, magari ho venduto tre copie e sono finito al terzo posto!

Cosa ti ha spinto a cantare in inglese?
Ho cominciato a cantare in inglese, poi mentre lavoravo come giornalista, scrivevo cronaca nera per un quotidiano a Roma, mi proposero di cominciare scrivere in italiano, accettai ma le mie canzoni iniziarono a diventare retoriche, il mio modo di cantare è molto lungo e in italiano diventava pesante. L’italiano parlato è bellissimo, è poetico e melodico, ma cantato per me è come una minestra buona ma troppo saporita. Poi in italiano non riesco ad esprimermi e non mi piace scegliere compromessi, quindi ho proseguito con l’inglese.

La malinconia è una prerogativa delle tue canzoni, cosa ispira di più il tuo lavoro?
Mi sono accorto che più cresco e più i miei testi parlano d’addii e di donne che mi hanno abbandonato, però mi piace anche inventare storie fantasticando su fatti reali perchè spesso la realtà supera la fantasia.

Come descriveresti il tuo mondo in bianco e nero?
Un mondo sognante la cui base è fondata su di una malinconia dalle mille sfaccettaure che si assaporano ascolto dopo ascolto. Non mi piacciono le cose immediate, preferisco la scoperta, il rivelarsi, lo stupire.
Sono molto severo sulla selezione dei miei pezzi, li ascolto almeno cento volte prima di decidere se tenerli o scartarli e se una canzone alla novantanovesima volta non mi convince la butto via.

Raccontaci un segreto…
La notte prendo la macchina e da solo inizio a vagare senza meta per le strade di Roma ascoltando musica, solo così riesco veramente a capire se un album mi piace, è un test che anche ogni mio pezzo deve superare.

Quando capisci se un pezzo è pronto per finire su disco?
Quando lo ascolto di giorno e mi piace e poi lo riascolto la notte e mi fa impazzire.

Vampire Weekend


“Fancy Afro-Pop Music” si potrebbe descrivere così la musica dei Vampire Weekend la band più strampalata e inaspettata che la scena indie newyorkese potesse offrirci. Quattro ragazzi di ventitrè anni che s’incontrano al college e iniziano a suonare insieme convogliando le loro passioni nella musica, niente di nuovo certo, se non fosse che le loro passioni sono la grammatica, Louis Vuitton, le colonie africane, indiane e David Byrne. Il fatto è che questo mix è geniale, da tempo non si sentiva un debutto tanto ispirato con canzoni tanto semplici quanto intelligenti, con trovate così folli da sembrare le più ovvie. E’ bastato il singolo Mansard Roof con le sue percussioni intrappolate e le sue tastiere fluttuanti a far accendere la miccia, tanto che oggi Ezra Koenig, Rostam Batmanglij, Chris Tomson e Chris Baio hanno tra le mani il primo album “atteso” di questo 2008 da poco iniziato.

Ezra, quale obiettivo avevate in mente prima di formare la band?
Usare strumenti rock classici per creare musica rock non convenzionale, unendo il risultato ad alcune nostre passioni come la musica classica, gli archi e la musica africana.

Se il vostro obiettivo era quello di creare qualcosa di diverso, credo che ci siate riusciti.
Grazie, credo il trucco sia nel nostro modo di lavorare insieme, quando ci troviamo a suonare tutto accade in modo molto veloce, abbiamo le idee chiare su cosa ci piace e cosa no. Non vogliamo farci influenzare dagli altri e così cerchiamo di creare il nostro suono. E’ da quando ho dieci anni che alla radio a New york sento sempre le stesse canzoni grunge, oggi ne ho ventitre e non ne posso veramente più.

Sono curioso di sapere cosa vi ha spinto a scegliere come nome Vampire Weekend perché è totalmente forviante, sembra il nome di un gruppo indie rock o emo…
Sono d’accordo se ti riferisci solo a Vampire ma nel nostro caso è seguito dalla parola Weekend che per me significa qualcosa di più solare e di divertente.

Non fraintendermi, mi piace che ascoltando il vostro disco ci si trova davanti a qualcosa di completamente inaspettato, non solo per la musica che fate ma anche per il nome che vi siete scelti, volevo solo capire se era vostra intenzione disorientare le persone…
Sì ci piace questo punto di vista, in effetti continuiamo a scacciare gotici che ci chiedono d’essere nostri amici su MySpace solo per il nome che abbiamo, non credo abbiano mai sentito una nostra canzone.

Come è successo che la cultura africana e anche quella indiana hanno influenzato e decretato il vostro stile con un risultato così pop?
Abbiamo cercato di combinare la nostra musica con diverse culture, è un processo affascinante. Credo in parte dipenda anche dal fatto che la mia famiglia sia iraniana e che mio padre abbia studiato in Inghilterra. Sono cresciuto in mezzo a culture diverse, all’inizio sembra strano che riescano a convivere tra di loro ma viste da vicino hanno diversi punti in comune. Inoltre ci siamo conosciuti alla Columbia University e quindi abbiamo riversato i nostri interessi nella musica cercando si sovvertire i clichés del rock. Ci piace la storia, la grammatica, la geografia, abbiamo utilizzato i nostri interessi per fare la nostra musica.

Non ditemi che non siete fan del lavoro di artisti come David Byrne o Peter Gabriel?
Certo che lo siamo, Byrne ci ha anche mandato un’email dopo aver visto un nostro concerto e la cosa ci ha lusingato, Non avevo mai pensato che la nostra musica potesse essere influenzata dai Talking Heads ma pensandoci mi sono accorto che abbiamo in comune lo stesso modo di relazionarci alla musica.

Vi aspettavate una simile attenzione?
Sì, sono mesi che la stampa ci sta addosso, da quando abbiamo pubblicato il nostro primo singolo Mansard Roof, quindi abbiamo avuto modo di prepararci a tutta quest’attenzione.

Vi è facile ricreare l’album dal vivo?
Non c’interessa ricreare l’album, non ci piacciono le band che dal vivo rifanno il disco. Le nostre canzoni dal vivo sono più energiche e ci divertiamo molto a suonare.

The Wombats


Se dovesse iniziare una nuova rock’n roll revolution, i Wombats sarebbero sicuramente tra i capostipiti del movimento, con canzoni tirate, ritornelli che ti si appiccicano addosso e una sana dose di follia, ma senza la pretesa di voler cambiare la storia dell’indie rock. Arriva alla fine dell’anno questo gioiellino power pop punk, che conquista a cominciare dal titolo A Guide To Love, Loss & Desperation, che sembra rubato ai Joy Divison ma che con la loro musica non ha nulla a che fare nonostante i testi siano tutt’altro che allegri. I Wombats però sono dei furbacchioni e hanno intitolato il singolo che li ha aiutati a raggiungere la notorietà proprio Let’s Dance to Joy Divison, ma non rimuginiamo troppo, casomai balliamoci sopra a colpi di handclapping e con tanto di piedino a scandire il tempo. Matthew “Murph” Murphy (voce, chitarra, tastiera) Dan Haggis (batteria, voce) e Tord Knudsen (basso, voce) sono i Wombats, da Liverpool.

The Wombats, in italiano i vombati, sono dei maialini pelosi in via d’estinzione che vivono in Australia, è vero che avete scelto questo nome perché avete una vera passione per gli animali?
Dan: Sì, in realtà abbiamo in comune una passione per gli zoo safari, un giorno ci siamo stati insieme e guardando gli animali cercavamo un nome per la nostra band, all’inizio la scelta è caduta sulle capre ma poi abbiamo visto i vombati e non hanno più avuto rivali.
Murph: Quando abbiamo iniziato a uscire insieme ci ubriacavamo parecchio, eravamo al college e ogni mattina ci svegliavamo sul pavimento di qualche camera per studenti. E’ stato allora che abbiamo iniziato a suonare cazzeggiando, la prima canzone che abbiamo scritto è un pezzo che parla di una capra con problemi di droga, l’abbiamo suonata anche al nostro primo concerto al The Cavern a Liverpool ma poi è morta di overdose.
Tord: Ci divertiamo anche un sacco a imitare gli animali, Dan è bravissimo a fare il topo, è la sua arma segreta per conquistare le ragazze.

Cercando in rete ho trovato che wombat è un’abbreviazione che si usa in chat per dire: waste of money, brain and time. Non avete nulla a che vedere con questo?
T: In realta lo abbiamo scoperto dopo, ma ci piace, va benissimo per noi perché le nostre canzoni parlano di relazioni umane e poi io sono un enorme spreco di cervello!
Dan: Io sono uno spreco di tempo.
Murph: E io sono uno sperperatore di denaro.

A Guide of Love, Loss and Desperation è un titolo drammatico che va a scontrarsi con i ritmi catchy & party del disco, vi piacciono i contrasti?
M: Il nostro stesso nome è stupido rispetto alla musica che facciamo.
D: La vita è fatta di contrasti e paradossi, e a noi piace confondere e prendere in giro le persone.

Anche l’inizio dell’album è spiazzante, Tales of Girls, Boys and Marsupials è un intro indie gospel spettacolare!
D: E’ cool indie gospel! Ci piace, d’ora in poi lo useremo sempre. Volevamo iniziare l’album in un modo insolito e ci sembrava carino fare qualcosa a cappella, la usiamo anche per aprire i nostri concerti ed è divertente vedere le facce della gente che si aspetta del rock n’ roll e invece si ritrova tre ragazzi che cantano scandendo il tempo con le mani.
M: E’ l’ultima cosa che ti aspetti da una band indie.

Come è nata Let’s Dance to Joy Division?
M: Ovviamente non è una canzone sui Joy Division, avremmo potuto intitolarla Let’s Dance to Radiohead o to Nick Drake, per noi è una canzone che celebra la voglia di ballare e divertirsi senza troppe pretese, non conta dove sei o con chi, quando senti il ritmo salire bisogna lasciarsi andare e ballare.

A voi ragazzi piace ballare?
D: Un sacco! Ci divertiamo a inventare passi assurdi specialmente quando siamo sul tour bus e poi li riproponiamo sul palco.
T: Io ballo almeno quanto bevo!
M: E’ il modo migliore per scaricare le energie negative e per fare evaporare l’alcool.

Tra poco sarà Natale, qual’è il regalo più bello che avete ricevuto nei natali passati?
M: Un robot di Robocop che sparava i pugni, peccato che dopo tre giorni li ho sparati sul tetto di casa e non li ho mai più recuperati!
T: Il piccolo chimico.
D: A me fanno sempre regali assurdi che non capisco, ad esempio ricordo che l’anno scorso qualcuno mi regalò una lanterna a petrolio…

Avete numerose date live alle spalle tra cui un tour in Giappone, qual è l’episodio più assurdo che vi è capitato?
D: Quando siamo andati in Giappone per il Fuji Rock, i poliziotti locali conrollandoci le Visa ci hanno detto: “Noi vi facciamo entrare in Giappone ma voi ci fate trovare al vostro albergo dei biglietti per il festival perché è sold out, l’indirizzo lo conosciamo”.

Qual è il disco che al momento gira di più sul vostro tourbus?
D: La colonna sonora de Il Libro della Giungla e Release the Stars di Rufus Wainwright.
M: Sei così preso da Rufus Wainwright che se ti invitasse in camera sua dopo il concerto per un aftershow privato ci andresti.
D: Sono un ragazzo gentile sai che mi è difficile dire di no!

The Violets


“We are punk delicate” sì descrivono così i The Violets band inglese uscita dallo stesso scantinato di These New Puritans, XX Teens e Wretched Replica, ma a differenza loro hanno una carta in più che si chiama Alexis McCloed, capello biondo platino e cuore nero, un mix tra Siouxsie e Debbie Harry che dal vivo esplode incutendo persino timore ai malcapitati delle prime file. La poesia e il cinema sono la principale fonte d’ispirazione dei The Violets che trasformano parole e immagini in suoni aggressivi ma dall’animo melodico che si susseguono in The Lost Pages, folgorante album di debutto. Quando arrivo al locale per l’intervista la band sta facendo il soundchek e trovo Alexis accovacciata in un angolo, faccia in giù e mani sule orecchie, immobile in mezzo al frastuono, le picchietto una spalla e lei mi rivolge un’occhiata da psycho killer, poi sorride si alza e mi stringe la mano.
“A volte spavento le persone lo so, lo faccio apposta. Specialmente sul palco mi piace essere aggressiva cantare in faccia a chi sta in prima fila e prenderli per il collo. Poi una volta finito il concerto sono piuttosto introversa e taciturna, sul palco sono più me stessa rispetto al quotidiano”.

Sulla copertina del vostro album ci sono due mani che battono a macchina velocemente, la velocità è riconducibile al vostro suono punk, mentre la macchina da scrivere alla vostra passione per la letteratura e i dialoghi cinematografici?
E’ un’immagine che colgie l’essenza della nostra musica, non tutti riescono a carpirla, ma ci piace essere criptici e anche enigmatici, non ci piacciono i testi da una lettura e via, ci piace il ragionamento. Il cinema e la poesia sono facilmente musicabili perché entrambi trasmettono forti emozioni, non avrebbe senso ispirarsi ad altre band copiando suoni già esistenti, altrimenti diventeremmo noiosi e realisti come tutte le band là fuori, ci piace il lato criptico e astratto delle cose. Per dirla tutta io non mi siederei mai in un pub a scrivere testi circondata da pinte di birra.

E’ vero che il vostro singolo Foreo è stato ispirato dal film Marnie di Hitchcock?
Il testo della canzone è formato da pezzi di dialoghi del film, mi piacerebbe che qualcuno se ne accorgesse un giorno e me lo venisse a dire, ne sarei estasiata. Ma alla fine penso che l’importante sia che ciascuno ascoltando Foreo trovi il proprio significato indipendentemente da quello che ha per me. Amo le ambiguità.

Oltre al cinema, la vostra attitudine, il vostro look e gli artwork, fanno parte di un mondo in bianco e nero che ha anche un risvolto teatrale, che dici?
La nostra estetica è puramente teatrale e avere un’estetica forte è importante nella musica, pensa a David Bowie o a Lou Reed. Siamo circondati da band che vestono fluo e hanno anche il coraggio di dire che non hanno un’immagine studiata, che loro comperano i vestiti al mercatino. Devo aggiungere altro?

Tre film essenziali per i The Violets?
Gli Occhi dell’Assassino con Jennifer Jeson Leigh, ogni film in cui recita è una fonte d’ispirazione per me ma questo in particolare. Labyrinth con David Bowie, la colonna sonora della mia infanzia e poi Suspiria di Dario Argento, una vera opera d’arte sanguinaria. Ma ce ne sono moltissimi è difficile sceglierne tre.

Credi che l’arte e la musica salveranno il mondo?
Solo pere gli intellettuali e per i nostri fans credo, nel senso che spero che le nostre canzoni li portino ad indagare nel nostro mondo e sulle nostre referenze, ma non credo cambieremo la loro visione politica.

The Real Heat


Shaki, Zaza e Suki sono come un uragano, tre sorelle adolescenti lasciate allo sbaraglio, party kids presenzialiste della notte londinese sembrano fuggite dalle riprese di un episodio di Skins.The Real Heat, questo il loro nome d’arte, stanno scuotendo i club della capitale con il loro pop sintetico. Immaginatevi le Sugababes sotto acido, le Cleopatra trafitte da una luce di wood, le EnVogue con il sangue fluo.Con una manciata di singoli superpower che si chiamano Hearts Not Innit, Stand and Deliver e la recente U Know a cui ha messo mano anche il guru dell’elettronica Richard X, le Real Heat hanno fatto tutto da sole nella loro stanzetta di Brixton, scrivono, producono, si cuciono eccentrici look nu rave, hanno anche licenziato il loro manager dopo solo due settimane perché non faceva bene il suo lavoro. Queste sono ragazze con le palle!

Siete tre sorelle, avete tre età diverse e personalità molto forti, come riuscite a gestire vita e lavoro senza scannarvi, e soprattutto chi vince alla fine?
Shaki: Siamo abituate a litigare! Lo facciamo da quando siamo nate e per noi è normale non ci facciamo nemmeno più caso, urliamo da sempre.
Zaza: Per i vestiti, per i ragazzi, per la musica, abbiamo gusti molto diversi e c’è sempre la lotta a chi arriva primo allo stereo! Raggae, punk, indie, electro,ognuna predilige un genere ma riusciamo a farli convivere insieme nella nostra musica.

Avete una filosofia di vita totalmente D.I.Y. e avete licenziato il vostro manager in un lampo!...
Tutte in coro: Oh Yeahhh!
Suki: Voleva farci fare quello che non volevamo e quando voleva lui: no way!
Zaza: E’ stato un po’ come avere un nuovo boyfriend, le prime due settimane sei eccitata ed euforica ma subito dopo ti accorgi di quanto sia stupido e lo scarichi.

Vi piace essere definite delle club kids?
Shaki: Oh certo che sì!Siamo giovani e ci piace uscire, bere, ballare, conoscere ragazzi e suonare nei club le nostre canzoni. Zaza: Andavamo tutte le settimane all’Antisocial era il nostro club preferito, quando ha chiuso è stato come un lutto.

Qual è diventata la vostra serata preferita ora?
Suki: L’Electrogogo al Madame Jo Jo’s, ma la cosa più bella di Londra è che ogni due settimane c’è una nuova serata pazzesca a cui tutti vogliono partecipare.
Shaki: C’è sempre un’energia fortissima e tutti vogliono essere coinvolti, Londra non si ferma mai ma noi le teniamo passo!

La vostra musica è paragonabile a band quali En Vogue o Sugababes ma con un cuore nu rave, vi ci ritrovate?
Zaza: Siamo tre ragazze e quindi viene naturale pensare a queste band e credo che per il paragonarci a qualcuno renda più facile catalogarci e magari fare arrivare il nome Real Heat a più persone, la nostra musica non è facile da descrivere a parole.

Il Nu Rave è morto o è appena cominciato?
Zaza: No è appena cominciato! Forse il termine è passato di moda ma si è aperta una scena musicale tutta nuova che sta fiorendo proprio adesso e di cui facciamo parte anche noi.
Shaki: La scena dei club è in costante evoluzione come anche la moda e forse in questi due ambiti il nu rave si esaurirà presto, probabilmente l’anno prossimo nessuno si vestirà più nu rave ma la scena musicale sta diventando sempre più forte e ci sono tantissime nuove band eccitanti che stanno per invadere il mondo. Zaza: La novità è che questa scena è fatta proprio dai ragazzi che frequentano i club.

In Inghilterra tutti stanno aspettando che ricominci la seconda stagione di Skins, serie tv trasmessa da Channel 4 che mostra la vita degli adolescenti inglesi in modo diretto senza censure, vi ci ritrovate?
Zaza: Adoriamo Skins! Ci ricorda tanto il periodo della scuola, ragazzi e ragazze in uniformi che scappano da lezione per fumare erba e si ubriacano ai party quando i genitori sono fuori città!

Avete un look molto forte, da chi traete ispirazione?
Zaza: Principalmente da nostra mamma che è sempre stata una persona stylish! Infatti ama i nostri outfit!
Suki: Ma ci influenza un po’ tutto, la città, le persone, la club scene, è impossibile non trarre ispirazione da una città come Londra.

Qual è l’esclamazione che usate più spesso?
Suki: Oh, Fuck!
Zaza: Oh my God! Amazing!
Shaki: Tits! Bollocks!

Qual è la traccia più evidente che lasciate al vostro passaggio?
Zaza: Se passa Suki sicuramente troverete in giro delle cicche di sigarette con traccia di rossetto fucsia, la sua camera è piena di pacchetti vuoti che non butta via…
Suki: E’ vero ma se passi tu lascerai dell’underwear maschile perché ti piace collezionare le mutande di tutti i ragazzi che ti porti a casa! Ahahah!!!
Shaki: Shhhh! Non si dicono queste cose! Io lascerei una scia di scarpe, ne ho tantissime paia e sono sparse per tutta casa.

Com’è il live delle Real Heat?
In coro: Money, success, fame, glamour and fun!

Cosa potete anticiparmi del vostro primo album che uscirà l’anno prossimo?
Zaza: Abbiamo un sacco di canzoni pronte e sono una bomba! Per ora abbiamo un contratto digitale con la Pure Groove dove si possono acquistare e scaricare i nostri tre singoli, ma il disco sarà divertente, diverso, sexy & hot! Siete avvisati!