14 novembre 2008

Portishead


Portishead
Nei primi anni ’90 i Portishead insieme a Massive Attack e Tricky inventarono il cosidetto trip-hop, tutte e tre le band si conoscono e all’epoca vivevano a Bristol, Uk nella stessa via. Li immaginiamo tutti insieme appassionatamente nello squat di Tricky a fumare come dei pazzi mentre si fanno un brainwashing sull’ultimo sample rubato ad un vecchio vinile di un’artista sconosciuto trovato al mercatino. Dopo due album che hanno scalfito la storia della musica Dummy e l’omonimo Portishead e il leggendario Roseland NYC Live, Beth Gibbons, Geoff Barrow e Adrian Utley si sono presi una lunga pausa dalla band dedicandosi ognuno a progetti personali e famiglia. Oggi nessuno sperava più in un nuovo album dopo annunci e smentite che hanno accompagnato questi dieci anni di silenzio. Finalmente Third è qui, ed è cattivo, oscuro, spietato, claustrofobico, tutto suonato con strumenti veri e comunque maledettamente Portishead. Geoff è arrivato a Milano per raccontare come è nato Third.

La prima parola che mi viene in mente per descrivere Third è apocalittico, è un termine che useresti?
Il sentimento che ripercorre all’interno di questo album è la frustrazione, ma non solo verso la politica che fa schifo, ma anche indirizzata alla razza umana. Abbiamo parlato molto tra di noi durante la lavorazione più di quanto abbiamo fatto per gli album precedenti, abbiamo discusso d’arte, di musica, di vita e abbiamo cercato disperatamente di riversare nelle nostre canzoni l’essenza di queste discussioni a volte con succcesso altre no, abbiamo cercato di rendere il più possibile interessante la nostra musica. Se ha senso direi che abbiamo fatto la cosa più innaturalmente naturale che potessimo fare. (ridacchia).

Saranno state discussioni estenuanti considernado che l’intero album sembra dirci “attenti il pericolo è dietro l’angolo”…
Sì puoi giurarci! Per questo il risultato suona come se Nico incontrasse i Public Enemy. Inoltre è il nostro album più suonato, io ho un serio problema con la tecnologia, nel senso che quando la usi in modo creativo è fantastica, ti permette di fare cose incredibili e inimmaginabili, folli se vogliamo ma più suono e più mi accorgo che il suono organico mi da più soddisfazione, la tecnologia va bene per samples o per stimolare le idee ma la musica suonata è più emozionante. So che in molti si aspettavano un album più elettronico ma siamo tre persone dalla forte personalità che si muovono d’istinto in modo imprevedibile e che odiano ripetersi.

Quanto sono importanti per i Portishead i dettagli?
Siamo ossessionati dai dettagli, cerchiamo di tenere sotto controllo qualsiasi aspetto del nostro lavoro che per noi non si esuarisce in studio o su un palco. Siamo fortunati perché abbiamo molti amici che ci aiutano nei visuals, negli artwork, non ci piace usare nomi di artisti famosi per far parlare di quello che facciamo.

Cosa rimpiangi del periodo trip hop?
La genuinità della musica, oggi le major pensano solo a far soldi, è tutto marketing, non c’è nulla di spontaneo. Guarda i ragazzini, passano ore davanti a Myspace, quando noi eravamo adolescenti volevamo solo ubriacarci e spaccare tutto! Ci sono cose che mi piacciono come Arcade Fire e Arctic Monkeys, di certo non mi troverete mai a cantare ad un concerto di James “fucking” Blunt.

Geoff, cosa credi renda una canzone perfetta?
Buone melodie abbinate a testi di spessore, un buon arrangiamento e l’utilizzo di strumenti in modo non convenzionale, quando la canzone riesce a trasmette un’emozione è buona.

Ma c’è un brano che per te rappresenta la canzone perfetta?
“Suzanne” di Leonard Cohen.

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