13 novembre 2008

Foals


Sembra piccolo e minuto Yannis Philippakis in mezzo ai suoi Foals, ma la verità è che gli altri membri della band sono dei colossi e lui quasi vi scompare nel mezzo, ma quando sale sul palco con il suo forte carisma ed una presenza scenica invidiabile ai più si vede solo lui, sono gli altri a scomparire al suo cospetto. Yannis con i suoi balletti nervosi si agita, suda, suona la chitarra tenedola alta, con la tracolla che sembra quasi strozzarlo mentre contribuisce a forgiare l’intruglio sonoro di Antidotes l’album più innovativo di questo 2008 in cui ritornelli catchy alla Franz Ferdinand, si scontrano con strutture care ai Talkin Heads, al punk funk pruriginoso dei Rapture e si mescolano ad accenni di techno minimale. Tutto arricchito da una sezione fiati fortemente voluta dal produttore Dave Sitek mente dei TV On The Radio. Yannis ci aspetta nell’ufficio della venue milanese, sigaretta in bocca, piedi sul tavolo, sguardo affascinante e consapevole, mi sembra un boss di qualche organizzazione segreta fashionista:
“Prego accomodati nel mio ufficio! (scoppia a ridere) Mi sento un boss della CIA negli anni ’70 è bellissimo qui anche se mi mette un po’ d’ansia, ma sai siamo stati due giorni ad Amsterdam e non abbiamo fatto altro che fumare erba, ho il cervello ancora annebbiato mi scuso in anticipo”.

Non preoccuparti, vuol dire che ad Amsterdam vi siete divertiti…
Siamo a pezzi a dir la verità e abbiamo appena cominciato, pensa che il tour finirà intorno a Natale. Se devo essere onesto non vivo il tour come un’esperienza appagante, ci piace suonare dal vivo non fraintendermi ma preferisco il processo creativo delle cose rispetto a quello pratico. Voglio fare un nuovo disco subito, mi piace comporre e creare e vedo ogni altra cosa come una distrazione.

Questo perché siete già stanchi di suonare le canzoni di Antidotes?
No, mi piace suonare, ma non mi piace pensare cosa suonare, preferirei improvvisare e creare qualcosa di nuovo, come quando hai quindici anni e prendi in mano per la prima volta la chitarra. E’ eccitante.

Considerate l’album come un antidoto alla scena ormai consunta di Hoxton?
Oh, gli eroi di Hoxton! (ride) Non lo so, potrebbe anche esserlo ma non è il motivo per cui abbiamo intitolato l’album così. E’ più una domanda, le tematiche delle canzoni affrontano dei problemi e cercano in qualche modo di porvi rimedio, è più un bisogno individuale di trovare un antidoto che il proponimento di una cura.

Il pezzo che apre l’album s’intitola The French Open, lo considerate una canzone o più un intro all’album?
Non è stato scritto come un intro, ma credo che per la sua posizione su disco e per come introduce gli strumenti che sono gli elementi che andranno poi a creare l’intero album possa essere considerato come tale. In effetti anche il testo introduce le tematiche dell’intero disco che parla di giochi finiti in un disastro, nello specifico la canzone si rifersice al tennista Andy Roddick, sono affascinato dal tennis, ho letto un libro Infinite Jets di David Foster Wallace parla di droga e tennis e mi è rimasto molto impresso. Andy è una star americana, ha un servizio più forte di chiunque, è bello, ma è anche vulnerabile come tutti noi. Lui stesso è in cerca di un antidoto.

La struttura delle vostre canzoni è insolita e gli strumenti hanno un ruolo leader rispetto ai vocals, cosa vi ha spinto verso questa scelta?
Sono d’accordo sulla struttura ma credo che gli strumenti e i vocals siano equi, certo non abbiamo il classico strofa ritornello strofa, a volte il ritornello è solo strumentale, le parti vocali sono registrate molto alte e il ritmo è prioritario in ogni traccia. Non c’è stata una vera scelta di stile, ma più un evolversi naturale del nostro stile, credo dipenda anche dal fatto che sono sempre stato un grande fan di gruppi strumentali come i Godspeed You! Black Emperor o il compositore Steve Reich. Mi piace molto anche la world music e sebbene non posso capire i significati del testo mi piace godere della sua essenza musicale. Ci piace mantenere un processo creativo democratico dando lo stesso risalto alla musica, ai testi, all’artwork, ai video, non vogliamo sottovalutare ne privilegiare nessuno di questi aspetti. Dave-Ma che ha fatto l’artwork dell’album e i video di Balloons e Cassius non è un video maker professionista, è un nostro amico che lavora in un kebab shop a Londra, è molto bravo e conoscendoci da tempo è in grado di capirci.

Il video di Cassius con i cuori è molto bello ma ha generato diverse controversie…
Tutti ci hanno stressato con questa storia dei cuori! Perché i cuori? Ascoltatevi il pezzo, il ritornello dice “The wind is in my heart” ecco perché i cuori. Non sono interessato al professionismo, la nostra etichetta ci ha dato dei soldi per fare un buon video e noi come dei ragazzini in vacanza da scuola lontano dagli occhi dei genitori siamo corsi a comperare una montagna di cuori in macelleria per fare il video. Ci piace divertirci, creare qualcosa di personale correndo il rischio di non essere capiti.
Cosa tiene in bocca il ragazzo raffigurato sulla copertina, sembra un miscuglio di denti rotti e pillole…
Esatto e anche fiori. Volevamo ottenere un effetto impressionante.

Arte, cinema e musica, quale ti ispira di più?
Sicuramente l’arte di Francis Bacon, un artista terrificante che ha avuto un forte impatto sulla mia crescita atistica.

E’ stato difficile combinare sax, trombe e trombone con il rock?
E’ stato strano all’inizio anche perché quando abbiamo scritto le canzoni non avevamo in mente quegli strumenti. Quando abbiamo deciso di farci produrre l’album da Dave Sitek ho passato ore al telefono con lui prima di volare con la band a New York nel suo studio. Volevamo che il disco si distinguesse per delle peculiarità ben precise, Dave ci ha fatto ascoltare molti afro-beat ed essendo anche io un fan della musica di Fela Kuti è stato quasi naturale spostarci in questa direzione che ha colori forti e tessiture che si discostano da qualsiasi altra rock band. Dave ci ha condotto attraverso un viaggio, il suo studio era sempre invaso dal fumo, era estate e a New York si soffocava, io registravo i vocals in una stanza e oltre il vetro umido e appannato vedevo gli altri suonare avvolti dalla nebbia. E’ stata un’esperienza folle, non ho mai conosciuto una persona che fuma tanta erba quanta ne riesce a fumare Dave, ma è anche l’unico genio vero che abbia mai incontrato, nonostante abbia un atteggiamento ostile.

Antidotes è un album che necessita più di un semplice ascolto prima di essere assimilato, credi che vi penalizzerà?
Dipende da come guardi le cose, sicuramente sarà un ostacolo per chi ascolta Shakira! Dal mio punto di vista i dischi che si assimilano facilmenti hanno vita breve, forse è difficile entrare nel nostro mondo ma una volta aperta la porta è come un susseguirsi di pop up che si svelano ascolto dopo ascolto.

Cosa mi dici della vostra collaborazione con Four Tet?
Prima di andare a New York avevamo tre tracce finite: Balloons, Tron e Cassius. Ci siamo chiusi in una stanza con Four Tet per tre giorni e abbiamo estrapolato delle piccole parti da ciascuna canzone creando delle specie di versioni extended improvvisate, abbiamo registrato una lunga sessions e poi ce ne siamo andati lasciando il tutto nelle sue mani. Saranno presto realizzate su vinile e come b-side durano dieci minuti ciascuna e hanno un forte dance appeal.

Qual è la tua ossessione?
Oltre la musica?... Coltivare piante, ortaggi e fumare erba.

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