8 ottobre 2009

SCOTT MATTHEW


Cantautore dall’anima fragile e dalla voce flebile, Scott Matthews sì è fatto notare con il suo omonimo debutto e con la sua interpretazione canora nel film culto Shortbus. Corteggiato dal mondo della moda, icona della scena gay underground e songwriter di talento, l’australiano fuggito a New York pubblica l’atteso secondo album There is an Ocean that Divides… ed è di nuovo magia, poesia, malinconia, sussurri su chitarre pizzicate che avvolgono testi intimi, sali e scendi emotivi e un romanticismo che oggi si fatica trovare nel cantautorato. Barba lunghissima e ciuffo davanti agli occhi si capisce subito che Scottie, come ama farsi chiamare, è timido, introverso, solitario, ma dategli un bicchiere di vino e una platea di amici e si trasforma in un cabarettista, sagace, pungente e affascinante. Impossibile mascherare i suoi sentimenti e come titola il nuovo album, l’oceano e la lontananza che lo divide dai suoi desideri ed aspirazioni ci arrivano con tutta la sua forza culmimando in questo atto d’amore per la musica.

Quali sono i temi che dominano il nuovo album?

I soliti! Ahahah! Miseria, brama, assenza d’amore, desiderio, sono temi sempre presenti nelle mie canzoni, ma credo d’aver aquisito in questi ultimi anni più confidenza con me stesso e l’aver ricevuto molte gratifiche mi ha aiutato. Per questo nonostante fossi sempre impegnato ho trovato il tempo di fare l’album e poi avevo praticamente tutte le canzoni pronte, le ho scritte durante il tour.

Quindi è un album nato on the road?

Sì perché sono stato in giro per due anni, appena avevo tempo scrivevo nel van o in una camera d’hotel poi quando sono tornato a New York ho raccolto le idee e sistemato il tutto.

Ti preoccupi del giudizio altrui mentre crei un album?

Sì e per questo cerco di non farlo, la paura fermerebbe il processo creativo, ma ogni volta che il disco è finito e viene mandato in stampa ho una specie di crisi di nervi perché divento consapevole del fatto che le persone lo ascolteranno giudicandomi. E’ spaventoso.

I tuoi testi sembrano poesie, hai studiato o è il tuo modo spontaneo di scrivere?

Non ho mai preso lezioni ne in musica ne in poesia, sono una specie di dumb ass! Il mio modo di scrivere è sempre stato questo, forse in questo album ho deciso di sperimentare un pochino ad esempio ci sono due canzoni Dog e German in cui ho cercato di scrivere da un'altra prospettiva, senza raccontare in prima persona ma facendo parlare un personaggio.

Credo sia dai tempi di When the pown… di Fiona Apple, che non ci troviamo di fronte ad un titolo lungo quanto quello del tuo nuovo album, There is an ocean that divides and with my longing I can charge it with a voltage that's so violent to cross it could mean death” …

E’ vero non ci avevo pensato, ma sai cosa mi ha spinto a farlo? Tutte le persone che mi han detto di non farlo perché suonava pretenzioso, autoindulgente o stupido. Per me è un bel pezzo di prosa che doveva assolutamente finire in una canzone che poi è divenatta la title track, trovo sia perfetto per esser sussurrato come titolo dell’album. Inoltre credo che esprima in una frase tutto quello che vorrei dire ed è intenzionalmente romantico e drammatico.

Leonard Cohen ha detto: “Potrei passare un anno intero a scrivere lo stesso testo in cerca della sua perfezione”, tu come la pensi?

Lui è un perfezionista, io no, per me sarebbe un enorme perdita di tempo lavorare in quel modo! Per me è qualcosa di molto spontenao, qualche volta torno in dietro e cambio qualcosa in fase di registrazione ma non mi piace tornare più volte su quel che ho fatto, prefersico pensare al passo successivo. Ammiro il modo di lavorare di Cohen perché vuol dire che è estremamente cosciente in quello che fa, io sono meno attento al mio songwriting, accade e basta.

C’è un tema ricorrente nelle tue canzoni?

Stranamente in tutti i miei due album parlo molto di Dio e non sono assolutamente religioso…

Quindi perché ti sei trovato a parlarne?

Perché Dio è un simbolo universale con il quale chiunque può relazionarsi, almeno credo, sono cresciuto in un ambiente religioso ma non andavo in chiesa e non provo ne paura, ne colpe, ne vergogna se penso alla religione, ma credo che inconsciamente Dio faccia parte della mia vita. Mi sono trovato molo a pensare ai valori medi che la società t’impone rispetto a quelli che sono i miei valori. Poi ci sono l’amore, la perdita, la solitudine che è sempre presente nei miei testi, anche quando canto d’amore c’è sempre una spruzzata di malinconia.

Ti è mai capitato di fermarti e pensare “Cosa sarebbe successo se non avessi fatto quel che ho fatto”?

Sempre, io sono molto insicuro, mi sento vulnerabile soprattutto quando sono sul palco, ora sono più a mio agio ma all’inzio guardavo il pubblico e pensavo: Ma chi me lo ha fatto fare? Odio espormi perché è faticoso ma sto imparando a sentirmi parte del palco e non solo un suo complemento.

Come passi il tuo tempo libero?

Cazzeggiando con gli amici e bevendo troppo! Sono cresciuto in campagna quindi quando posso scappo da New York per andare verso la natura, è una sorta di richiamo istintivo.

A proposito di New York, anche tu credi sia cambiata in peggio?

Oh si, drasticamente! Ha perso quella spontanea creatività che l’ha resa famosa, non c’è più eccitazione, fermento, ma c’è più sicurezza e tutto costa tantissimo, uno scambio vantaggioso no?

Hai un angolo prerito della città?

Waterfront sull’East River a Brooklyn, c’è un parchetto dimenticato che affaccia sulla spiaggia e d’estate io e i miei amici vi passiamo tutto il tempo, in realtà la chiamiamo spiaggia ma è acqua tossica e ci aspettiamo sempre che prenda vita da un momento all’altro. Ahahah!

Le tue canzoni hanno un lato tenero e fragile, ma tu come sei?

Fragile, tenero e con uno spiccato senso comico, amo ridere e rido tantissimo, le persone buffe e divertenti mi attraggono e mi aiutano ad allontanarmi dalla solitudine che ho sempre presente in me. C’è un grosso clown nascosto in me.

Cosa ti manca di quando eri bambino?

Che non avevo responsabilità e non dovevo pagare le tasse, odio i doveri di un adulto anche se non ho avuto un’infanzia idilliaca quindi ci sono anche molte cose che preferisco dimenticare.

Avevi un giocattolo preferito?

Non avevo giocattoli, avevo animali, vivevo in un fattoria, giocavo con le galline, con i conigli e con le mucche. I cespugli australiani erano il mio campo giochi…

Cosa ti spaventa?

Faremmo prima a parlare di quello che non mi spaventa. Mi spaventa l’idea di non riuscire a coltivare una relazione, non riconoscere l’onestà delle persone, perdere l’abilità di avere speranza e diventare cinico, non potrei mai sopportare l’idea di diventare cinico, cerco sempre di essere ottimista.

Ti senti mai colpevole per un tuo vizio?

Le sigarette! Le amo e le odio non posso stare senza e poi la televisione, la amo.

Cosa ti piace guardare?

Tutto quello che è spazzatura, il canale dei gossip, i reality, e un sacco di serie amo Big Love.

Hai mai pensato di trasferirti?

Da New York sì ma non credo che potrei mai lasciare l’America perché ho costruito un collettivo che è anche la mia famiglia con cui lavoro benissimo e al quale non potrei rinunciare.

Riesci ad immaginarti senza barba?

No! Morirò con questa barba, seriamente, sono dieci anni che ce l’ho e credo che sarebbe un orrendo shock per me guardarmi allo specchio sbarbato, come se al mio posto vedessi Michael Jackson.
Ahahah! Correrei a comperarmi una barba finta in attesa che la mia ricresca.

Scott Matthew
17 luglio, Ferarra sotto le stelle, ingresso gratuito.

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