8 ottobre 2009

THE HORRORS


Freak of nature, weirdo, posers, boy band noir, rock meteors, insulti e sbeffi si erano sprecati all’epoca del debutto dei The Horrors, ma i cinque ragazzi di Londra hanno sempre trovato rifugio tra le pagine di Hot che folgorato dal loro impeto creativo punk e sregolato, aveva dedicato loro una copertina ciascuno nel giugno ’07. Oggi i The Horrors tornano e sembrano un’altra band, loro sono sempre gli stessi, meno trucco stessa quantità di nero indosso, ma abbandonato il punk garage dell’età inquieta nel nuovo disco Primary Colours che sbalordirà chiunque li ha calunniati a oggi perché è un album che incanta, pieno di sfumature, tessiture elettroniche, di riflessi e giochi di luci, toruosi, cerebrali, psichedelici con riferimenti al passato e soluzioni avant garde. Vogliamo vedervi tutti restare a bocca aperta, scettici che non siete altro e che vi siete basati solo sulle cotonature di cinque ragazzatti con il talento che gli scorre nelle vene. In un giorno troppo caldo d’inizio aprile abbiamo incontrato Rhys Spider e Josh Third sul tetto di un hotel di Milano, e con un wiskey e coca sotto il sole abbagliante, abbiamo chiacchierato perdendo lentamente coscienza merito anche dei loro capelli a fungo che hanno indotto un effetto allucinogeno. Sembrava d’essere nel deserto, tra cactus e scorpioni, con la vista ondulata, un’eperienza quasi mistica che rivive in ogni traccia di Primary Colours un album maturo, moderno, visionario.

Che cambiamento ragazzi, cos’è successo?

Spider: Tante cose ci sono successe dopo che è uscito il primo album, siamo stati un anno intero in tour, siamo cresciuti come gruppo, abbiamo aggiunto un gradino alla nostra esperienza, chi ci ha sentito suonare all’inizio e alla fine del tour può dire di aver visto due band diverse da quanto siamo cambiati. Il fatto è che non abbiamo dato retta a nessuno e siamo andati avanti per la nostra strada, abbiamo preso confidenza con noi stessi e che abbiamo capito che non dobbiamo relazionarci a nessuno ma solo pensare a migliorare noi stessi. Finito il tour siamo entrati subito in studio pieni d’idee, eccitati e la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di metterci in discussione cambiando strumento. Io ho abbandonato le tastiere in favore della basso, e Tom il nostro bassista è passato alle tastiere, ma non avevamo fretta, avevamo tempo e ce lo siamo preso.
Josh: Non abbiamo premeditato un cambiamento, è successo, ci siamo messi a suonare per giorni e credo che il risultato sia il riflesso di quel che avevamo in testa in quel preciso momento.

Strange House era un album punk in bianco e nero, Primary Colours mantiene intatta la vostra identità ma è pieno di sfumature e tessiture impreviste, si riferisce a questo il titolo, oggi vedete a colori?

S: Grazie di averlo notato, molti tendono a dare giudizi affrettati etichettando il nostro album come “molto dark”, lo abbiamo scritto per la maggior parte la scorsa estate, e credo ci siano molte altre qualità che vanno al di là del dark, che assume il valore di un’etichetta. Eravamo molto interessati nell’elevare il nostro stato mentale trasportandolo in musica, è complicato da spiegare, ma per noi questo è un album gioioso. I colori primari sono un punto di partenza con cui puoi dipingere tutto quello che vuoi, in ogni modo, la musica è vibrante, distorta, quasi psichedelica e in continuo movimento come un dipinto.

Io credo ci sia molto romanticismo nel disco, che dite?

R: E’ un disco decisamente romantico, è un album molto british che parla d’amore per la musica, il romanticismo è un eredità della musica anglosassone. Sicuramente è un disco pieno di passione.



E’ vero ci sono spazi aperti, inaspettate virate gioiore, un cantato melodico ma l’album è stato scritto in una stanza senza finestre…

S: Sì, era la nostra sala prove a Londra, potevamo entrarci e suonare ogni qual volta ci passava per la testa, anche se in realtà passavamo giorno e notte in quella stanza. Si è creata una strana alchimia tra di noi e quel luogo, quando entravamo in quella stanza il mondo del disco era reale, prendeva vita solo in quelle quattro mura, come un’esperienza surreale ma vera, che ci ha permesso di perderci nel disco d’intraprendere un viaggio mentale. Eravamo molto eccitati all’idea di scrivere questo disco e mentre accadeva eravamo consapevoli che stava accadendo qualcosa di speciale.

Com’è successo che Geoff Barrow dei Portishead ha deciso di produrvi l’album?

S: Lo abbiamo conosciuto la sera della reunion ufficiale dei Portishead, la prima volta che hanno suonato Third dopo dieci anni di assenza sulle scene. Alla fine del concerto ci siamo trovati a parlare di apparecchiature, chitarre, tastiere vintage, c’è stata un intesa immediata. Così decidemmo di lascirgli il nostro demo e di farci sapere cosa ne pensava, dopo alcuni giorni ci ha richiamato entusisata e abbiamo deciso che avrebbe prodotto l’album. Uno dei nostri obiettivi era quello di sperimentare il nostro suono e i Portishead sono dei pionieri in questo, Geoff è un grande collezionista di vinili e abbiamo passato ore a parlare di produzioni degli anni ’60 e ’70, è stato quasi naturale lavorare con lui, quando è arrivato in studio avevamo già cominciato a registrare e lui ha rispettato il nostro lavoro senza invadere il nostro spazio.

Come siete passati da una major ad un’etichetta indipendente come la XL?

R: Non ci hanno rinnovato il contratto e ci hanno aperto le porte verso la libertà! Sia chiaro, alla Universal non ci hanno mai detto cosa dovevamo fare, ma avevamo l’impressione che nessuno avesse la minima idea di quel che stavamo facendo, ne tanto meno da dove venivamo musicalmente, volevano farci scrivere una hit radiofonica e ci descrivevano come “strani” perché secondo loro avremmo fatto presa sui ragazzini. Ma la nostra musica non è proprio per ragazzini…
S: La cosa ridicola e paradossale è che Primary Colours è la cosa più accessibile che abbiamo mai fatto da quando esistiamo, ma alla XL possiamo fare quello che vogliamo senza doverne rendere conto a nessuno!

Spider cosa mi dici del tuo progetto Spider and the Flies?

E’ nato dal mio primo contatto con i sintetizzatori, io e Tom abbiamo iniziato a fare casino con i synth dai tempi del primo album, eravamo interessati nell’esplorare l’elettronica e così abbiamo inziato a collezionare macchine con cui farci i nostri viaggi senza barriere, è stato un pò come un crossover per noi tra il primo e il nuovo album. Abbiamo pubblicato l’e.p. Something Clockwork This Way Comes, ma è stato più uno scopo per raggiungere un obiettivo che si è concretizzato nel nuovo disco degli Horrors, questo sipario creativo ha decisamente influenzato Primary Colours.

Spider, cosa t’ispira di più nel comporre musica?

Gli stati mentali, l’emozioni, il provare qualcosa quandi senti un suono che provenga da un synth o da una chitarra, anche la canzone perfetta pop è quella che colpisce immediatamente l’ascoltatore a e si fa sentire in testa, negli occhi arrivando al petto. Questo m’ispira. Oddio mi sento cotto dal sole…

Non c’è un filo d’ombra, probabilmente tra poco avremo un miraggio… a proposito quando crei musica la configuri visivamente?

S: La musica per me è qualcosa di visivo e… oddio mi sono perso tutto… puoi andare avanti tu…
R: Siamo interessati ad un suono cinematico in grado di evocare emozioni, a differenza del primo album che era più fatto di flash e suoni violenti, questo sembra più una lunga sequenza psichedelica, un lungo suono astratto.

I vostri esordi risalgono al Junk Club di Southend, com’è cambiata da allora la scena indie a Londra?

S: Non molto, è uno schifo, se sei un ragazzino e vuoi suonare la tua musica a Londra è quasi impossibile, ai tempi a Southend ma anche a Hoxton si è cercato di proporre qualcosa di nuovo e diverso scavallando gli schemi dettati dal mercato, valicando i confini di Londra per poter esser liberi di suonare. Il problema è che inseguito l’industria discogrfica ha creato intorno a questo fenomeno una scena fasulla, improvvisamente tutti venivano da Hoxtone o da Southend solo perché era cool ma la verità è che la maggior parte di queste band facevano schifo infatti sono durate il tempo di un singolo. Ma noi abbiamo ancora i nostri locali dove ci rifugiamo a metter musica quando vogliamo.

Dove avete lasciato il make up?

S: Da nessuna parte, ci siamo evoluti, come la nostra musica. Possiamo spostarci all’ombra?...

R: Sarà colpa del wiskey? Ordiniamo un vodka lemon!

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