16 ottobre 2009

PATRICK WOLF


Era il 2004 quando Patrick Wolf uscì come dalle pagine di un racconto di Charles Dickens giocando alla ruota con il cerchio tra suoni celtici e pop avant-garde con un effetto strano e meraviglioso allo stesso tempo. Dopo essersi dichiarato libertino in Wind in the Wires, il suo masterpiece, firma con una major e nel 2007 pubblica The Magic Position il suo album più pop, glam e queer. Ma il mondo mainstream non lo capisce così se ne va incompreso e snobbato come un Macaulay Culkin in Mamma ho Perso l’Aereo ma travestito da Principe Caspian in Gareth Pugh. Senza perdersi d’animo Patrick apre un sito e si autoproduce finanziato dai suoi fans che diventano azionari di questo nuovo capitolo della sua storia: Battle, un concept diviso in due parti The Bachelor e The Conqueror. Un lavoro pieno d’idee e dalle possibilità infinite, in cui la voce di Tilda Swinton incontra i suoni techno di Alec Empire, in cui l’innocenza si scontra con la sessualita, la perversione, la malinconia e tutte le crude verità che riserva la vita. Che la battaglia abbia inizio.


Il tuo nuovo album è la prima parte di un progetto doppio, chiamato Battle. Ora hai pubblicato The Bachelor e l’anno prossimo uscirà The Conqueror a completarlo. Com'è nata questa idea e il progetto in generale?
E' iniziato tutto con un album unico ma con due tipi molto differenti di canzoni che non sapevo come unire. Prima ho iniziato a scrivere di un tempo della mia vita in cui ero molto solo e con un punto di vista pessimista riguardo all'amore. Poi però sono entrato in un periodo felice della mia vita, in cui ho iniziato una nuova relazione e ho sentito che dovevo esprimere delle emozioni positive. Quindi mi sono ritrovato con due gruppi di sensazioni e di tracce molto diverse, e in tutto circa una quarantina di canzoni da registrare. Il problema a quel punto è diventato di tipo finanziario: era praticamente impossibile produrre tutto allo stesso momento. Allora ho iniziato a fare la prima parte e in luglio registrerò la seconda. Il secondo album sarà una sorta di sequel, come la parte 1 e 2 di un film. E più avanti potrebbero anche uscire insieme come Battle.

Parlando di te, sembra che l'opinione della gente sia divisa in due: c'è chi ti vede come un artista importante e che ha segnato una svolta, altri che ti considerano poco più di una pop star. Che ne pensi di questa duplice opinione?
So che ci può essere un'opinione un po' negativa di me ma penso che sia dettata spesso dal fatto che ho iniziato ad avere pubblico, a fare tour, ad avere un buon seguito, ormai da sei anni. Chiunque ha successo nella vita deve pensare che c'è qualcuno sempre pronto a farti scendere. Sono rispettato da persone che io considero importanti in diversi settori. Comunque, non cambierei la mia vita con niente al mondo: è importante essere controversi e creare opinioni diverse alla gente e dar loro qualcosa a cui pensare.

In tutto l'album c'è una sensazione parecchio triste, un sentire molto drammatico. Sembra quasi che non ti importi del lato bello delle cose...
Personalmente e dal punto di vista dei testi, penso che sia così. Musicalmente è una sorta di combinazione tra ciò che può essere definito felice e le parti tristi. Credo che la mia musica possa dare fiducia in qualche modo a chi si sente depresso.

Hai parlato dei testi. Citi spesso situazioni politiche o anche l'argomento del suicidio. Sono basati su fatti personali?
Sì, assolutamente. Scrivo direttamente dalle esperienze che documento nella mia vita. C'è la parte politica in cui io do le mie opinione su quello che succede e sì, nominando i suicidi, c'è la vicenda di un amico che è scomparso un paio di anni fa. Tutto quello che c'è nell'album è la trascrizione di un'esperienza diretta.

Guardando indietro nella tua carriera hai cambiato radicalmente la tua immagine. Prima sembravi una sorta di Peter Pan, sognante e fiducioso, adesso hai un lato dark molto più presente. Sei d'accordo?
Assolutamente. Penso che le persone a un certo punto chiedano di andare oltre la fantasia o il mondo magico che ho disegnato. E' una cosa che ho fatto spesso negli ultimi tre album, mentre adesso mi sembrava giusto andare in un'altra direzione. Credo sia un'evoluzione naturale.

Questa tensione si nota anche all'interno dell'album. Come riesci a passare dalle parti elettroniche a quelle acustiche anche all'interno della stessa canzone? Ti viene naturale?
Sì, è un istinto naturale. A volte è molto diretto e spontaneo, altre volte penso alle mie radici e le esploro a fondo volontariamente. Non discrimino tra elettronica e acustica: è come guardare il mondo in bianco e nero. Lo vedo come un processo naturale, è la mia natura, non mi interessa il suono finale dell'album, deve essere coerente con me.

Anche nel tuo video Volture si nota molto questo cambiamento...
Beh sì, il video è una metafora visuale: usare il mondo del sadomaso per esprimere una sorta di tendenza autodistruttiva, o almeno confusa. In alcuni momenti una persona può essere potente ma allo stesso tempo sottomessa, non soltanto dal punto di vista sessuale, ma proprio come metafora della vita.

L'hai diretto tu, vero?
Sì, ho fatto tutto io. Volevo sperimentare un approccio self-directed. L'ho creato io, parlando di me stesso.

Sembra che tu abbia una forte connessione con il mondo fashion e del design. Sia per i video che per i live, i tuoi look sono sempre curati ed eccentrici...
Non sono così connesso con la moda, in realtà. Ci sono dei miei amici che io considero più artisti che designer, che realizzano pezzi magari non legati ad alcun trend. Mi piace indossare alcune loro creazioni, ma le vedo come visioni creative, non come capi di moda.

Senti, ultima domanda: com'eri da piccolo?
Ero un bambino molto energico! Mi piaceva girare per casa nudo, gridare, correre, urlare, rompere le cose. In effetti, già da allora mi piaceva essere al centro dell'attenzione, come su un palco. Poi, avevo un ottimo rapporto con mia sorella: avevamo il nostro mondo parallelo, il nostro linguaggio. Poi, quando sono diventato un teenager è stato più duro mantenere questo mondo e mi sono dovuto scontrare con la realtà.

Marco Cresci e Matteo Zampollo

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