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8 ottobre 2009

LA ROUX


Si sentiva nell’aria e nella terra che la rivoluzione stava per cominciare, le ragazze hanno la musica in pugno e la vittoria in tasca su tutti i fronti musicali, Lady Gaga, Katy Perry, Ladyhawke, Little Boots, Florence and the Machine, Lissy Trullie, l’invasione delle cantanti vent’enni è cominciata e tocca a La Roux sferrare il colpo di grazia. Ciuffo rosso fuoco alla Tin Tin, una faccia androgina dallo sguardo posh capace di mettere in soggezione, un look che mixa tie dyed denym, camice stampa Versace, make up fluo e una passione per i camei che tiene al collo e al dito, Ellie Jackson è La Roux la nuova stella dell’electropop. Lanciata dalla Kitsunè con il singolo Quicksand, la rossa di Brixton raggiunge a sorpresa il secondo posto delle chart Uk con In It For The Kill, la sua musica è istantanea ma mai banale e nonostante peschi ancora una volta dai suoni anni ’80, risulta libera da ogni vincolo, senza pretese e intelligente. In un paio di mesi è diventata un’icona di stile è impossibile non chiedersi Who’s That Girl? la prima volta che la si vede con quel look maschile che ricorda Tilda Swinton e quell’attitudine di chi sa il fatto suo. Elly Jackson incontra Ban Langmaid discepolo di Rollo dei Faithless a diciassette anni ad un party, e qualche anno dopo insieme formano i La Roux. Lui compone e produce in studio ma odia le luci della ribalta e sceglie l’anonimato mandando in scena solo Ellie che subito diventa La Roux come unica identità. Raggiungerla a Londra è un’impresa impossibile, la stampa le sta addosso pronta a divorarsi ogni sua singola mossa, così per incontrarla voliamo a Berlino a Kreuzberg, in un giorno di fine maggio in cui sole, grandine, pioggia e vento si alternano in un turbinio delirante e senza sosta, ma siamo pronti a sfidare tutte le intemperie pur di parlare con La Roux, a costo di sciuparle il ciuffo.

Ciao Ellie, o La Roux? Chiariamo questo fatto…

La Roux è un duo, ci si confonde non è vero? Ma questo mi diverte, siamo io e Ben. In studio siamo un duo ma in ogni altro posto sono solo io, è come funziona per Goldfrapp anche se siamo molto diverse! (scoppia a ridere). Io sono La Roux ovviamente perché sono quella con i capelli rossi, ma siamo comunque La Roux entrambi…

Un altro fraintendimento che ti riguarda è che per via del tuo nome d’arte e perché sei stata lanciata dalla Kitsunè, in molti pensano che tu sia francese…

E ancora più divertente è il fatto che molte persone pensano che io sia di Glascow solo perché ho i capelli rossi! E se sei rossa devi essere scozzese per forza no?!

Il tuo album omonimo suona fresco, spontaneo e innovativo, è stato difficile fare musica attingendo dagli anni ’80 senza cadere nei soliti clichè?

Sì. Il fatto è che mi sento come nata nell’epoca sbagliata, mi sarebbe piaciuto moltissimo poter vivere gli anni ’80 ma sono nata nel 1988, non sto cercando di copiare nessuno, ne tanto meno di apparire cool, sono me stessa e la mia musica è spontanea quanto lo sono io. Se qualcuno trova la mia musica banale o pacchiana è un problema loro non mio. Io amo i Chromeo ma loro sono come un gioco, scherzano con gli anni ’80, li prendono in giro eccentuandone le caratteristiche, la mia musica invece si rifà agli anni ’80 ma con un tocco attuale, moderno.

Parlami del tuo immaginario, è molto forte e personale, è qualcosa che ti appartiene o c’è una ricerca alle spalle?

È naturale e strano allo stesso tempo, ho parlato molto di questo anche con Kinga Burza che ha diretto il video di In It fot the Kill e Quicksand e del fatto che anche se non volevamo sembrare anni ’80 è stato impossibile non esserlo. Anche per il video di Bulletproof è successo lo stesso, avevo giurato a me stessa: non voglio essere ‘80! Ma alla fine è impossibile liberarsene anche se è una reinterpretazione moderna sono lo stesso anni ’80, non c’è altro immaginario che si sposa così bene con la mia musica.

La melodia ha un ruolo fondamentale nelle tue canzoni, credi sia il segreto per raggiungere la perfezione?

Credo sia il segreto per una buona canzone, ma per raggiungere la perfezione ci vuole anche un buon testo, senza non puoi ottenere una canzone segreta. Ho detto segreta invece di perfetta? Ahahah! Ok è vero ho scritto una canzone perfetta ma è un segreto è la canzone più bella mai stata scritta ma non dirlo a nessuno! (scoppiamo a ridere). Nel pop le melodie mi mettono allegria.

Le melodie molto allegre sono spesso in contrasto con i testi che parlano di storie d’amore finite male, sono personali?

La maggior parte dei miei testi li ho scritti piangendo anche se suonano gioiosi, sono totalmente personali, sono incisi nel mio cuore.

Nell’album c’è un pezzo molto bello si chiama Tigerlily, è impossibile non cantarla e verso la fine c’è una voce maschile paurosa in stile Thriller, di chi è?

Non ci crederai ma è di mio padre! Non posso negarlo è totalmente copiata da Thriller, lo abbiamo fatto per gioco ma poi l’idea di mettere un pezzo così sfacciato mi divertiva. Michael Jackson è il mio eroe, non com’è adesso! Sarebbe pietoso.

Andrai a vederlo in uno dei suoi cinquanta concerti londinesi?

No, non avrebbe senso, primo perché non voglio dargli i miei soldi e secondo perché non credo che sarà veramente lui ad esibirsi, rovinerei in un istante uno dei miei più grandi sogni. Lo avrei visto negli anni ’80 quando faceva buona musica non oggi, ripeto non oggi!

Sei diventata immediatamente una faschion Icon, (Ellie eccitata esclama Yes! Facendo il tipico gesto di chi ce l’ha fatta), grazie al tuo ciuffo, jeans scoloriti, camice stile Versace e l’inseparabile medaglione cameo…

Sì ho candeggiato decine e decine di jeans ma sto cercando di usarli un pò meno anche se mi piacciono sempre solo che quando una cosa diventa di moda non riesco più a metterla! Mentre adoro le camice in stile cheap Versace.

E la passione per i Cameo da dove nasce?

Non lo so esattamente, ne sono affascinata, come adoro gli stemmi araldici, compro sempre anelli e ciondoli che li raffigurano nei mercatini e soprattuto nelle stazioni dei treni, (mi mostra un anello con un cameo e un altro con uno stemma reale n.d.g.), non mi piace spendere molti soldi in gioielli. A parte questo grosso ciondolo a cameo che è di Sylvie Markovina, una designer di gioielli australiana che amo.

Dovresti farti fare un ciondolo con la tua silhouette, sarebbe perfetto!

L’ho fatto! L’abbiamo stampata sulle magliette del merchandise.

Immagino che i kids londinesi stiano cercando gia da tempo di copiare la tua pettinature…
Sì lo fanno… (Fa il broncio)

E questo ti dispiace?

No è molto divertente il fatto è che lo fanno male…

Come una brutta copia?

Non è una questione di bruttezza è che è veramente difficile ottenere questo effetto anche una volta che hai imparato come farlo, ci vuole molto tempo, e soprattutto devi avere i capelli tagliati per essere pettinati in questo modo non può farlo chiunque. Io adesso ci metto cinque minuti a farmeli, ma sono allenata.

Adesso che ti ho qui di fronte a me posso dire che sei dolcissima, gentile e simpatica, ma ammetto che in foto e nei video hai uno sguardo che mette in soggezzione, lo sai?

Davvero? Interessante, ma vedi io non so posare davanti all’obiettivo ridendo e molte spesso assumo uno sguardo arrabbiato, ma non sono arrabbiata, penso che il sorriso non centri nulla con la mia immagine o con la mia musica, guardami (posa con un sorriso a pieni denti) non sembrerei Joker? Ahahah!

Hai appena concluso il tuo primo tour come headliner com’è andato?

Bene ma è stato molto faticoso, le date erano una dietro all’altra e trattandosi di un NME tour suonavamo sempre in piccoli club sporchi, cool ma molto sporchi. Non c’era mai nemmeno il tempo di avere un pasto decente, perché ci trovavamo in posti come Preston in cui non sanno nemmeno cos’è un ristorante giapponese. Non ho nulla contro Preston ma sono posti in cui non c’è nulla se non Mc Donlad o Tesco, così mangiare diventa difficile e alla fine del tour ero ammalata e stanca.

Tu, Ladyhawke e Little Boots, possiamo parlare di una nuova scena femminile?

Forse. Se provenissimo dallo stesso posto sicuramente potremmo parlare di scena ma io sono di Brixton, Little Boots di Blackpool e Ladyhawke neozelandese, quindi parlerei più di una coincidenza anche se riconosco che abbiamo spunti comuni, forse più con Little Boots perché Ladyhawke è molto Fleetwood Mac, ma sono due artiste che mi rispetto molto.

Quando potremo vederti dal vivo i Italia?
Tra poco partirò per un lungo tour europeo che toccherà l’Italia a marzo, per la precisione Milano, non vedo l’ora!

AIRYS



Il giorno che Esco, il primo video di Airys, ha fatto la sua comparsa on line la comunità notturna milanese, e qui mi ci metto in mezzo, ha messo in atto una vera e propria rivolta su Facebook e tra insulti, commenti a sproposito e poche critiche costruttive il nuovo progetto di Syria oggi Airys è stato demolito nell’arco della durata della canzone stessa, o forse meno. L’intento di Airys e dei suoi alleati, Giulio Calvino e Sergio Maggioni degli Hot Gossip, è stato quello di provare a fare un disco di musica electro pop, che strizza gli occhi ai grandi del settore. Le canzoni di Airys attingono da Kylie, Goldfrapp, Madonna, Yelle unendo ritmi disco alla tradizione cantautorale italiana di Battisti e allo stile electro della prima Bertè. Una novità in Italia diciamolo. La cosa che stride è la connotazione del progetto strettamente legata ad un ambiente notturno milanese, che ha fatto diventare il tutto quasi una propaganda a favore di certe serate e locali in cui regna la voglia di apparire, in foto, in video, di persona. Il video di Esco è molto bello e la tecnica stop motion in Italia in pochi l’avevano usata, un applauso al regista. Vivo Amo Esco è il titolo di questo e.p. ben prodotto e costruito ma con un difetto che non sta nella musica ma nel nome, perché Airys? girarsi il nome al contrario ok è un gioco, ma si può giocare anche restando se stessi, si è più credibili, soprattutto con una carriera decennale alle spalle. Ma anche mascherarsi fa parte del popolo della notte, no?

Come sei diventata Airys?

Da quando vivo a Milano, città maledetta in senso buono, ho imparato a diventare più curiosa. A Roma avevo un’altra attitudine e frequentazioni. Da quando ho cominciato ad andare ad Ibiza a fare la vacanziera mi si è aperto un mondo che mi ha fatto venire voglia di frequentare un po’ di realtà danzerecce. Dall’ultimo album che ho fatto come Syria insieme ai La Crus mi si è aperto un mondo, mi sono lasciata andare verso nuove esperienze. Poi nei locali ho conosciuto gli Hot Gossip e mi sono ritrovata a fare dei dj set insieme a Giulio e Sergio e ci siamo subito trovati. All’inizio mi han proposto di fare un solo pezzo, un’esperimento alla Roisin Murphy all’italiana con un’attitudine cantautorale più nostra. Alla fine ci siam divertiti così tanto che è diventato un progetto concreto e dal prestare la voce siamo diventati un tutt’uno, con la voglia di divertirsi come comun denominatore.

Perché ti sei girata il nome al contrario e non sei rimasta Sirya?

Perché non mi andava di tenere il nome Sirya perché vorrei continuare a fare quallo che ho fatto come cantante prima d’ora, mi piaceva l’idea di avere una doppia personalità. Ecco credo che questa sia un problema strettamente legato all’Italia, all’estero quanti sposano cause diverse e artisti che fanno folk si mettono a fare electro sotto uno pseudonimo? Allora mi butto anche io! Non devo dimostrare nulla a nessuno e non ho più paura, non credo ci siano altre mie colleghe dotate di questo coraggio.

Hai un passato decennale in cui hai fatto un sacco d’esperienze diverse, è stato difficile sopravvivere?

Sì! Ma ti dico la verità, oggi mi sono rotta i coglioni di quella grande esposizione che ho avuto in passato, mi è servita e mi sono aiutata passando dal neomelodico, al radiofonico, lavorando con Jovanotti, Tiziano Ferro, Giorgia e tanti altri. Oggi esistono X-Factor e Amici e se voglio sopravvivere al sistema preferisco fare le mie cose anche se andranno a scontarsi con realtà che sono diverse dalla mia abituale. Oggi mi godo le cose in un altro modo e sono felice, tanto.

Oltre agli Hot Gossip hai coinvolto un po’ tutta la italo disco del momento in questo progetto…

L’italo disco del nord! Dariella, Amari, Peluche, Cecile, Titan, NT89, son tutti dj che mi è capitato di conoscere in questi anni in cui mi sono confrontata e siamo diventati un gruppo, per questo ho fatto remixare loro le mie canzoni.

Il video lo hanno girato i ragazzi di Died Last Night, è molto bello e innovativo per Italia…

I ragazzi di Died Last Night hanno scattato dodicimila foto per realizzarlo, il video di Esco per me è un documentario sul mio mondo notturno, non so come verrà percepito ma io sono contenta se il video passerà di notte, non mi interessa la heavy rotation.

Il primo riferimento che ho sentito ascoltando Esco a livello vocale è Loredana Bertè, cosa ne pensi?

Mi fa molto piacere, in effetti è un ottimo riferimento, perché è un po’ scanzonata com’è lei, io nel 96 ho vinto Sanremo giovani con un pezzo della Bertè che è Sei Bellissima quindi vedi, tutto torna, Loredana è nel mio cuore.

Io Ho Te invece è una cover della Rettore…

Amo quel pezzo, è cattivo e aggressivo, è la mia preferita del disco.

Kylie, Roisin Murphy, Madonna, Goldfrapp, Uffie, Yelle, c’è un po’ tutta la storia dell’electropop nell’ep dagli ottanta ad oggi.

Sì ma in versione “De Noantri” ahahah! Airys è un progetto totalmente pop, noi lo chiamiamo power pop-electro club, che non vuol dire tutto e nulla. Però ammettiamolo, in Italia questa cosa ancora non è uscita, siamo stati i primi senza essere estremi, abbiamo assorbito l’influenza estera e l’abbiamo interpretata. Io credo che dopo il primo concerto dei Justice a Milano è cambiato tutto, è esplosa una scena e si è ramificata, la musica è cambiata e c’è voglia di accogliere tante cose fine ad arrivare a raggiungere il proprio stile. In futuro.

Come pensi verrà recepita Airys?

Questo per me è un esperimento, per molti rimango Sirya, chi mi conosce sa che da me ci si possono aspettare certe cose soprattutto dopo il disco Un’altra Me, e molti puntano il dito soprattutto su Facebook dove mi dicono che non posso permettermi di fare questo perché tanto sono sempre quel che sono. Ma mi diverte, è un confronto continuo e non mi pesa, la verità è che non voglio criticare nessuno, faccio le cose in nome di un po’ di felicità. L’importante è farle dignitosamente.

Marco Cresci

THE DO


Prendete un compositore di colonne sonore francese, intimista e tenebroso e fatelo incontrare con una finlandese sexy e rockettara, due personalità e due mondi così lontani e diversi quando si incontrano generano attrito o accade la magia, è questo il caso dei The DO. Dan Levy e Olivia Bouyssou Merilathi, le cui iniziali formano il nome della band oltre che quello di una nota musicale, nascono artisticamente a Parigi, lei arriva dalla scena rock finlandese, lui crea colonne sonore, A Mouthful è il titolo del loro primo album in cui la malizia di Olivia che si muove come una Lolita, si mescolano all’esperienza di Dan, l’uomo maturo, creando un impasto indie folk rock sensuale, scazzato e accattivante. La voce di Olivia si muove sui binari del polistrumentista Dan come un rollercoaster in un parcogiochi, ci sono cadute vertiginose, loop, svolte inaspettate, ma anche salite in cui tirare il fiato, prima di precipitare di nuovo in un turbine di divertimento.

Ciao Olivia, mi racconti come hai incontrato Dan?

Ci siamo incontrati nel 2004 a Parigi, stavamo lavorando entrambi ad una colonna sonora ma separatamentre, ad un certo punto ci siamo ritrovati a dover comporre delle canzoni inisieme e ci siamo trovati così bene che abbiamo formato la band.

Quindi anche tu come Dan componi colonne sonore?

No è stata la mia prima ed unica volta, Dan è un veterano compone per la tv, per il teatro, per propiezioni d’arte contemporanea, io invece ho diverse band alle spalle con cui ho suonato, ho vissuto quell’esperienza più come un gioco.

Quindi tu sei l’anima punk dei The Do!

Ahahah! No dai! In effetti mi son trovata a suonare strumenti che non avevo mai suonato prima, Dan è un polistrumentista bravissimo quindi mi ha insegnato ha suonare il basso e la chitarra, in questo sul palco sono sicuramente punk, non avevo mai cantato e suonato contemporaneamente prima.

Insieme siete un curioso miscuglio di razze e personalità, avete gusti simili o vi scontrate?

Siamo diversi perché come hai detto tu proveniamo da diverse culture, Dan è nato e cresciuto in Francia ma sua mamma è inglese e suo papà ha origini asiatiche, io ho la mamma finlandese e il papà francese quindi abbiamo questo mix di culture. Dan mi ha fatto scoprire il lato strumentale della musica, esplorando il jazz e la musica classica, lui è un ragazzo da studio mentre io gli ho mostrato la melodia, il pop, e come ci si esibisce su un palcoscenico.

Mi piace molto il modo in cui canti, la tua voce sembra quasi uno strumento e mi piace la tua attitudine scazzata, a volte sembra che sei quasi annoiata, come una ragazza viziata che deve cantare per forza, ti ci ritrovi in questo?

Ho my God! Ahahah! Il nostro intento era quello di fare qualcosa di diverso nella musica e nel cantato, per questo gioco un sacco con la mia voce nel disco. Non è stato così facile, anche perché nessuno di noi due sapeva come comporre un album, non lo avevamo mai fatto prima quindi abbiamo iniziato scrivendo canzoni più che un album. Abbiamo cominciato per divertimento, scrivendo canzoni per noi, le prime canzoni che abbiamo creato sono state Playground Hustle e Queen Dot Kong che sono i duei episodi più sperimentali del disco. Ci siamo divertiti un sacco, lo studio è la nostra casa.

So che avete suonato degli oggetti comuni per ricreare dei suoni, mi fai qualche sempio?

E’ uno dei nostri passatempi preferiti ricavare suoni da oggetti che non sono strumenti, mi ricordo quando abbiamo spaccato un vaso di fiori interrati sul paviento, un suono davvero curioso, o quando siamo usciti per strada in cerca di un martello pneumatico!

La prima frase che pronunci in Playground Hustle traccia che apre l’album è “We Are Not Crazy”, è una dichiarazione?

Perché lo siamo! No? Abbiamo messo quella canzone all’inizio dell’album perché è una delle meno convenzionali, ci divertiva l’idea di far trovare qualcosa d’inaspettato all’inizio del disco, iniziamo una rivoluzione! E’ un atto di ribellione perché prima di allora avevamo lavorato insieme ma solo sotto la guida di un regista che ci chiedeva specificatamente cosa fare, in studio ci siamo trovati liberi e questa euforia si è trasformata in tante canzoni. La nostra etichetta non voleva Playground Hustle come prima tarccia, insinuava che la gente sarebbe scappata ascoltandola, così abbiamo lottato per metterla proprio in apertura. Libertà!

Io credo che al massimo incuiriosisca chi l’ascolta nel voler sapere cosa succede dopo…

Esatto! Grazie, per noi è la canzone che rappresenta al meglio la nostra musica.

I tuoi testi sembrano dei racconti, il giusto mix tra fantasia e realtà, è così?

Sì, non mi piace scirvere i testi come un diario, ma mi piace raccontare storie partendo da spunti personali, come se dovessi raccontarle ai miei figli anche se ancora non ne ho, ma senza essere infantile, mi piace usare l’immaginazione e farcirla di simboli. I racconti che mia mamma mi raccontava da piccola in finlandese mi hanno influenzato molto, racconti molto forti legati alla nostra tradizione.

Toglimi una curiosità, nelle vostre foto Dan sta sempre giocando con i suoi vestiti, si allaccia i pantaloni, si abbottona la camicia, come se fosse stato appena colto sul fatto…

Eheheh, beccato! Dal mio punto di vista sono foto molto spontanee, la maggior parte sono state scattate in Florida durante una vacanza, poi lasciamo spazio all’immaginazione di chi le guarda…

Di cosa non puoi fare a meno in questo momento?

Dei leggins! Non riesco a liberarmene, non riesco più ad infilarmi in un paio di pantaloni.

Si parla di vestiti, hai un designer favorito?

Credo che i designer giapponesi abbiano l’immaginazione più fervida, creano vere opere che sono per me la continuazione delle storie che amo leggere o scrivere. Nei loro vestiti c’è la storia, non si prendono troppo sul serio e amano osare con i colori come fa Tsumory Chisato uno dei miei preferiti.

So che hai registrato un paio di canzoni con Luke Pritchard dei The Kooks, che fine faranno?

Ma questo era un segreto! Sai che non lo so, probabilemnte verranno usate come b-side dai Kooks, mi piace molto la sua voce e a lui la mia, ci siamo conosciuti ad un festival in Inghilterra e alcuni giorni dopo abbiamo registrato un paio di cover degli anni ’60. Spero di sentirle presto.

Il disco che non riesci più a togliere dal tuo lettore?

Sono due, Alcohol di Goran Brecovic, un musicista fantastico e The Sicilian del tenore Roberto Alagna, ho una passione innata per le canzoni napoletane.

Marco Cresci

SCOTT MATTHEW


Cantautore dall’anima fragile e dalla voce flebile, Scott Matthews sì è fatto notare con il suo omonimo debutto e con la sua interpretazione canora nel film culto Shortbus. Corteggiato dal mondo della moda, icona della scena gay underground e songwriter di talento, l’australiano fuggito a New York pubblica l’atteso secondo album There is an Ocean that Divides… ed è di nuovo magia, poesia, malinconia, sussurri su chitarre pizzicate che avvolgono testi intimi, sali e scendi emotivi e un romanticismo che oggi si fatica trovare nel cantautorato. Barba lunghissima e ciuffo davanti agli occhi si capisce subito che Scottie, come ama farsi chiamare, è timido, introverso, solitario, ma dategli un bicchiere di vino e una platea di amici e si trasforma in un cabarettista, sagace, pungente e affascinante. Impossibile mascherare i suoi sentimenti e come titola il nuovo album, l’oceano e la lontananza che lo divide dai suoi desideri ed aspirazioni ci arrivano con tutta la sua forza culmimando in questo atto d’amore per la musica.

Quali sono i temi che dominano il nuovo album?

I soliti! Ahahah! Miseria, brama, assenza d’amore, desiderio, sono temi sempre presenti nelle mie canzoni, ma credo d’aver aquisito in questi ultimi anni più confidenza con me stesso e l’aver ricevuto molte gratifiche mi ha aiutato. Per questo nonostante fossi sempre impegnato ho trovato il tempo di fare l’album e poi avevo praticamente tutte le canzoni pronte, le ho scritte durante il tour.

Quindi è un album nato on the road?

Sì perché sono stato in giro per due anni, appena avevo tempo scrivevo nel van o in una camera d’hotel poi quando sono tornato a New York ho raccolto le idee e sistemato il tutto.

Ti preoccupi del giudizio altrui mentre crei un album?

Sì e per questo cerco di non farlo, la paura fermerebbe il processo creativo, ma ogni volta che il disco è finito e viene mandato in stampa ho una specie di crisi di nervi perché divento consapevole del fatto che le persone lo ascolteranno giudicandomi. E’ spaventoso.

I tuoi testi sembrano poesie, hai studiato o è il tuo modo spontaneo di scrivere?

Non ho mai preso lezioni ne in musica ne in poesia, sono una specie di dumb ass! Il mio modo di scrivere è sempre stato questo, forse in questo album ho deciso di sperimentare un pochino ad esempio ci sono due canzoni Dog e German in cui ho cercato di scrivere da un'altra prospettiva, senza raccontare in prima persona ma facendo parlare un personaggio.

Credo sia dai tempi di When the pown… di Fiona Apple, che non ci troviamo di fronte ad un titolo lungo quanto quello del tuo nuovo album, There is an ocean that divides and with my longing I can charge it with a voltage that's so violent to cross it could mean death” …

E’ vero non ci avevo pensato, ma sai cosa mi ha spinto a farlo? Tutte le persone che mi han detto di non farlo perché suonava pretenzioso, autoindulgente o stupido. Per me è un bel pezzo di prosa che doveva assolutamente finire in una canzone che poi è divenatta la title track, trovo sia perfetto per esser sussurrato come titolo dell’album. Inoltre credo che esprima in una frase tutto quello che vorrei dire ed è intenzionalmente romantico e drammatico.

Leonard Cohen ha detto: “Potrei passare un anno intero a scrivere lo stesso testo in cerca della sua perfezione”, tu come la pensi?

Lui è un perfezionista, io no, per me sarebbe un enorme perdita di tempo lavorare in quel modo! Per me è qualcosa di molto spontenao, qualche volta torno in dietro e cambio qualcosa in fase di registrazione ma non mi piace tornare più volte su quel che ho fatto, prefersico pensare al passo successivo. Ammiro il modo di lavorare di Cohen perché vuol dire che è estremamente cosciente in quello che fa, io sono meno attento al mio songwriting, accade e basta.

C’è un tema ricorrente nelle tue canzoni?

Stranamente in tutti i miei due album parlo molto di Dio e non sono assolutamente religioso…

Quindi perché ti sei trovato a parlarne?

Perché Dio è un simbolo universale con il quale chiunque può relazionarsi, almeno credo, sono cresciuto in un ambiente religioso ma non andavo in chiesa e non provo ne paura, ne colpe, ne vergogna se penso alla religione, ma credo che inconsciamente Dio faccia parte della mia vita. Mi sono trovato molo a pensare ai valori medi che la società t’impone rispetto a quelli che sono i miei valori. Poi ci sono l’amore, la perdita, la solitudine che è sempre presente nei miei testi, anche quando canto d’amore c’è sempre una spruzzata di malinconia.

Ti è mai capitato di fermarti e pensare “Cosa sarebbe successo se non avessi fatto quel che ho fatto”?

Sempre, io sono molto insicuro, mi sento vulnerabile soprattutto quando sono sul palco, ora sono più a mio agio ma all’inzio guardavo il pubblico e pensavo: Ma chi me lo ha fatto fare? Odio espormi perché è faticoso ma sto imparando a sentirmi parte del palco e non solo un suo complemento.

Come passi il tuo tempo libero?

Cazzeggiando con gli amici e bevendo troppo! Sono cresciuto in campagna quindi quando posso scappo da New York per andare verso la natura, è una sorta di richiamo istintivo.

A proposito di New York, anche tu credi sia cambiata in peggio?

Oh si, drasticamente! Ha perso quella spontanea creatività che l’ha resa famosa, non c’è più eccitazione, fermento, ma c’è più sicurezza e tutto costa tantissimo, uno scambio vantaggioso no?

Hai un angolo prerito della città?

Waterfront sull’East River a Brooklyn, c’è un parchetto dimenticato che affaccia sulla spiaggia e d’estate io e i miei amici vi passiamo tutto il tempo, in realtà la chiamiamo spiaggia ma è acqua tossica e ci aspettiamo sempre che prenda vita da un momento all’altro. Ahahah!

Le tue canzoni hanno un lato tenero e fragile, ma tu come sei?

Fragile, tenero e con uno spiccato senso comico, amo ridere e rido tantissimo, le persone buffe e divertenti mi attraggono e mi aiutano ad allontanarmi dalla solitudine che ho sempre presente in me. C’è un grosso clown nascosto in me.

Cosa ti manca di quando eri bambino?

Che non avevo responsabilità e non dovevo pagare le tasse, odio i doveri di un adulto anche se non ho avuto un’infanzia idilliaca quindi ci sono anche molte cose che preferisco dimenticare.

Avevi un giocattolo preferito?

Non avevo giocattoli, avevo animali, vivevo in un fattoria, giocavo con le galline, con i conigli e con le mucche. I cespugli australiani erano il mio campo giochi…

Cosa ti spaventa?

Faremmo prima a parlare di quello che non mi spaventa. Mi spaventa l’idea di non riuscire a coltivare una relazione, non riconoscere l’onestà delle persone, perdere l’abilità di avere speranza e diventare cinico, non potrei mai sopportare l’idea di diventare cinico, cerco sempre di essere ottimista.

Ti senti mai colpevole per un tuo vizio?

Le sigarette! Le amo e le odio non posso stare senza e poi la televisione, la amo.

Cosa ti piace guardare?

Tutto quello che è spazzatura, il canale dei gossip, i reality, e un sacco di serie amo Big Love.

Hai mai pensato di trasferirti?

Da New York sì ma non credo che potrei mai lasciare l’America perché ho costruito un collettivo che è anche la mia famiglia con cui lavoro benissimo e al quale non potrei rinunciare.

Riesci ad immaginarti senza barba?

No! Morirò con questa barba, seriamente, sono dieci anni che ce l’ho e credo che sarebbe un orrendo shock per me guardarmi allo specchio sbarbato, come se al mio posto vedessi Michael Jackson.
Ahahah! Correrei a comperarmi una barba finta in attesa che la mia ricresca.

Scott Matthew
17 luglio, Ferarra sotto le stelle, ingresso gratuito.