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23 maggio 2010

THESE NEW PURITANS



A palace where corridors and rooms follow one another and intersect in a tangle of spaces that can make you lose your direction completely and where it is difficult to enter and almost impossible to get out. It's not by chance that on the cover of Hidden, the new chapter of These New Puritans, there's the map of a labyrinth, a concept of construction related to the medieval age and handed on to us through the legend of Daedalus, Minos and the Minotaur, an era which deeply imbues this album. The four members of the band from Southend-on-Sea don't even sound the same anymore, so much this album is complicated and immense, full of trumpets, horns, deep medieval choirs, synthetic sounds and claustrophobic melodies, sinister and repetitive, that confuse and daze the listener, who will wander aimlessly in the dark.
History, its mythologies and the architectural structures have always been a clear passion as from their debut album, Beat Pyramid, for TNPS. The Barnett brothers, Jack, mind and voice, and George, drummer and model as well as muse of Hedi Slimane, who discovered them and asked them to write the music for the Dior Homme f/w 2007-08 show. The song “Navigate, Navigate” is now quite a rare 12” collector's item. Everyone awaits the release of Hidden with anticipation and Jack tells us how it all started.

What are the ideas on which the creative process of Hidden is based?

I got this idea of combining the same kind of production of a Britney Spears song with all those that can be considered as the values of the English music. I know it's a kind of idea that might seem confused and even impossible, but I think the outcome is just this. I would call it an album with a mixed technique.
As a matter of fact the outcome isn't quite something you catch on the first listening. You've got to listen to Hidden a few times to get into it and understand its nature, do you agree?

To be honest not quite, maybe because I created it myself but to me it's a rather immediate work, in fact I reckon it's even more accessible than Beat Pyramid. There're lots of little references in each song that make it lighter, more direct.
Your brother plays the drums. Percussions play indeed a leading role in this album. What's your point of view?

It's true, we've been listening to a lot of instrumental japanese music made just with percussions and drums, we wanted the sound of this album to be as huge as possible and percussions helped us getting to it.

The songs are very emotional, there's a sense of urge and fear flowing in each track. What did you want to tell us?

We originally intend to record a very aggressive album, actually it was meant to be called “Attack Music”, which is the title of one of the tracks but then, while we were developing it, it turned into a more intimate and melancholic album. It really was unintentional.

How was working with a children choir?

Great fun! Children are very adaptable, to them everything is a game. It's been fun to see these innocent children singing very confidently songs about attacks and violence. For us it was even a bit surreal, but as I'm a great medieval music fan, I thought it was the best way to recreate that kind of obscurity made with lightness.

There're so many sounds in Hidden. Did you use some common object to create uncommon sounds?

Yes, there's the sound of a melon struck by a hammer which recreates the sound of a head being smashed, but also the sound of chains, of noises caught on a camera and then put on tape, which comes out as an incredible futuristic effect.
What about your connection with the world of fashion, what are you attracted to?

It's stimulating, but for us it's just a way to keep on publishing our music.

Un palazzo in cui i corridoi e le stanze si susseguono e si intersecano creando un groviglio di spazi capace di far perdere completamente l'orientamento rendendo difficile l'accesso e quasi impossibile l'uscita. Non è un caso che sulla copertina di Hidden, nuovo capitolo dei These New Puritans vi sia posta la piantina di un labirinto, concetto di costruzione legato all’eta medievale e tramandato dalla leggenda di Dedalo, Minosse e il Minotauro, periodo storico di cui questo disco è intriso. I quattro di Southend-on-Sea non sembrano nemmeno più gli stessi per quanto complicato e immenso suona questo disco, ricco di trombe, corni, cupi cori medioevali, suoni sintetici e melodie claustrofobiche, sinistre e ripetitive che confondono e stordiscono l’ascoltatore che si troverà a vagare senza meta nell’oscurità. La storia, le sue mitologie e le strutture archittettoniche sono sempre state una passione evidente sin dal debutto Beat Pyramid per i TNP. I fratelli Harnett, Jack la mente e la voce del gruppoe George batterista e modello, musa di Hedi Slimane che li ha scoperti affidando loro il compito di comporre la musica per la sfilata Dior Homme f/w 2007-08 che è poi diventata Navigate Navigate oggi un 12” da collezione introvabile. Sempre alla maison Dior Homme i TNP hanno dato in esclusiva We Want War per la sfiltata S/S2010 un assaggio di questo nuovo album Hidden. Jack ci racconta come è nato.

Quali sono le idee alla base del processo creativo di Hidden?
Avevo quest’idea di unire lo stesso tipo di produzione che può avere una canzone di Britney Spears e di unirla con tutti quelli che sono i valori della musica inglese. Lo so che è un’idea che può sembrare confusa e anche impossibile ma credo che il risultato sia proprio questo. Lo definirei un album a tecnica mista.

In effetti il risultato non è molto da primo ascolto, bisogna ascoltare più volte Hidden prima di riuscire ad entrarvi e capire la sua natura, sei d’accordo?
A dire la verità non molto, forse perché io stesso l’ho creato ma per me è un lavoro piuttosto immediato, credo addirittura sia più accessibile di Beat Pyramid. Ci sono un sacco di piccoli riferimenti in ogni canzone che lo rendono più leggero, più diretto.
Tuo fratello suona la batteria infatti le percussioni in questo album hanno un leading role, qual’è il tuo punto di vista?
E’ vero, abbiamo ascoltato un sacco di musica strumentale giapponese fatta solo con percussioni e batteria, volevamo che il suono di questo album fosse quanto più grande possibile e le percussioni ci hanno aiutato ad ottenere questo risultato.

Le canzoni sono molto emozionali, c’è un senso di urgenza e di paura che scorre in molte tracce, cosa volevate comunicare?
La nostra idea originaria era quella di fare un disco molto aggressivo infatti doveva intitolarsi Attack Music che è il titolo di una delle tracce ma poi nel suo sviluppo ha preso una svolta più intima e malinconica, è successo senza premeditazione.

Com’è stato lavorare con un coro di bambini?
Molto divertente! I bambini si adattano a tutto, per loro qualsiasi cosa è un gioco è stato divertente vedere questi bambini innocenti cantare testi che parlavano di attacchi e violenza con totale disinvoltura. Per noi è stato anche un po’ surreale, ma essendo un appassionato di musica medievale ho trovato fosse il modo migliore per ricreare quel tipo di cupezza fatta con leggerezza.

Ci sono tantissimi suoni in Hidden, avete usato qualche oggetto comune per creare strane sonorità?
Sì, c’è il suono di un anguria rotta da un martello che ricrea il suono di una testa che si spacca, ma anche delle catene, dei rumori catturati con una telecamera e poi riversati su nastro, ne esce un effetto futuristico incredibile.

Cosa mi dici della vostra connection con il mondo fashion, cosa vi attrae?
E’ stimolante, ma per noi è solo un mezzo per poter continuare a pubblicare la nostra musica.

10 febbraio 2010

The Big Pink


Sudici, capelli arruffati, occhiaie, dita giallo nicotina, un vecchio chiodo e dei jenas sdrulciti, i Big Pink appaiono ruvidi e cupi come la musica che fanno, creata nei bassifondi di Londra; un mix di shoegaze e industrial, lampi controluce e morbidi corpi nudi femminili. A Brief History of Love un album che sembra il titolo di un film d’essai in bianco e nero, una storia d’amore, droga, sesso sfrenato e cuori infranti. Robbie Furze polistrumentista e Milo Cordell, fondatore della Merok music, sono i Big Pink e grazie a pezzi come Velvet e Domino sono usciti dallo scantinato in cui facevano musica per svelarsi al mondo, intorpidendolo con synth e chitarre distorte. Pensate al lato struggente dei Jesus and Mary Chains, ai ritmi ipnotici dei Velvet Underground, alla virata dance e psycho dei Primal Scream, alla cupezza dei Joy Division, aggiungete sesso e melodia e siete pronti per ascoltare questo disco, sdraiati sul divano consunto nel vostro basement con la sigaretta accesa che vi si consuma tra le dita.

Ciao Milo, come va?
Bene grazie sono in coda allo sportello della banca…

Tutto avrei immaginato ma mai di trovarti in banca a far la fila, pensavo di sentirti con la voce impastata reduce da un party…
Ahahah! E’ un duro periodo di lavoro, quasi li rimpiango i party.

Quando avete inziato come Big Pink avevate in mente di creare epiche canzoni erotiche e torbide?
All’inizio a dire la verità volevamo suonare come qualcosa di più artistico, comporre musica sperimentale che potesse andar bene per la colonna sonora di un’istallazione d’arte o di un film. Abbiamo iniziato prima a sperimentare e poi continuando a condensare il nostro suono le composizioni si sono mano a mano accorciate diventando canzoni. Ci conosciamo da un sacco di tempo e quindi abbiamo una certa sintonia quando suoniamo insieme. Ci veniva naturale comporre un pezzo noise di venti minuti come Crystal Vision il brano che apre l’album, all’inizio era solo musica distorta senza voce. Se l’ascolti con questo concetto in mente ti apparirà chiaro il nostro modo di lavorare.

Credo che questo aspetto artistico e cinematico sia rimasto presente soprattutto in canzoni come Velvet che dici?
Potrebbe tranquillamente essere una colonna sonora, a dir la verità per me l’intero album potrebbe esserlo, è la colonna sonora della nostra vita. Mi viene in mente quando abbiamo ascoltato per la prima volta l’album con dei nostri amici a Bruxelles sul tetto di un parcheggio, la musica usciva dalla macchina, si vedeva tutta la città all’imbrunire, fumavamo spinelli e bevavamo vino era la scena perfetta per quel momento della nostra vita.

Collezioni e scatti fotografie in bianco e nero di modelle anni ’30, gore, freak show e vecchi film muti, un gusto che contamina i vostri video, le immagini, gli show, mi piace questo dare un senso a tutto il progetto che è al cento per cento voi. Quando hai cominciato ad archiviare immagini?
Lo faccio da sempre, per me immagini e musica sono due elementi che vanno mano nella mano, senza saremmo tutti ciechi e sordi, vogliamo che le persone siano connesse con il nostro mondo e mi piace trasmetterlo collezionandoe pubblicando sul nostro sito immagini di film, di fotografi che amo o di persone che stimo. Le canzoni fanno riferimento alle immagini e le immagini alle canzoni diventando un tutt’uno.

Deduco che quando componi hai gia un’immagine chiara nella tua mente, una storia, un film…
Assolutamente, la fotografia come la musica ha il potere di estraniarti e di portarti lontano, le fotografie che raccolgo sono molto emotive pur non trasmettendo emozioni, sono le nostre esperienze personali la referenza che ci serve per rendere il tutto emotivo. Questo ragionamento vale anche per la nostra musica.

Se penso a voi che create musica v’immagino in uno squat sporco circondati da persone spaced out alle sei di mattina. E’ questa scena vicina alla realtà?
Ahahah! No… non potrei mai comporre musica a quell’ora di mattina. E fortunatemente non viviamo più in uno squat, non riusciamo a suonare fatti durante un party, ci viene naturale farlo il giorno dopo con l’hangover.

E’ vero che in Inghilterra il testo di Domino è stato accusato di misoginia? E’ uno dei miei preferiti…
Grazie! Ma sì purtroppo è vero anche se per me è solo un testo scherzono che parla di un uomo che cerca la propria rivincita personale su una donna che lo ha deluso, è un testo molto personale come lo è ogni traccia del disco.

Esiste l’amore senza dolore?
No! Ho paura di dover ammettere che il dolore è parte integrante dell’amore, putroppo l’amore non è sempre giorni felici, un buon odore nell’aria o dei fiori appena sbocciati. L’amore fa male, l’amore è gelosia, l’amore è piena di cose orribili e più cresci e più te le trovi davanti. Quando hai diciotto anni non vedi tutto questo ma essere innamorati è un fottuta tragedia piena delle insicurezze della vita e prima o poi ti colpisce allo stomaco. Ma è bellissimo e per questo sei disposto ad affrontare tutto questo tenendo sempre le dita chiuse.

Come sono i Big Pink live?
Dal vivo ci divertiamo un sacco! Non siamo in due, la nostra formazione varia da quattro a sei, perché ci piace sottolineare che siamo una live band, ci piace suonare a volume altissimo, un muro di suono con le voci alti e forte, credo che dal vivo siamo più aggressivi.

Hai fondato la Merok records, etichetta che ha scoperto i Klaxons e firmato in Inghilterra Crystal Castle e Telepathe. Hai tempo tutt’oggi di seguirla?
Certo, stanno succedendo un sacco di cose, abbiamo alcuni nuovi progetti che stanno per uscire e un nuovo blog che se ne occupa, si chiama Don’t Die Wondering, sono sempre in cerca di volti interessanti.

Per chiudere qual’è la colonna sonora che ti accompagna in questi giorni?
Ieri mi sono fatto prestare la macchina da un mio amico e sono andato a fare un giro per Londra con la mia fidanzata, in macchina aveva Definitely Maybe degli Oasis e per me è stata una riscoperta, era molto che non lo ascoltavo ed è stata la colonna sonora perfetta per un giro tra le strade inglesi, ho avvertito delle buone vibrazioni e mi ha ricordato la mia infanzia. Recentemente invece ascolto moltissimo i Cold Cave, un gruppo di Filadelfia,
hanno pubblicato da poco l’album Love Comes Close ed è davvero buono, il cantante Wasley Eisold proviene dalla band hardcore Some Girls e adesso fa queste canzoni synth pop magnifiche.

Mi piace che avete creato una formula riconsocibile, potete essere più pop come in At War with the Sun, più epici come in Domino, o più noise come in Velvet ma in tutti i casi suonate come i Big Pink...
Mi lusinga che reputi il nostro suono riconoscibile nonostante abbiamo cercato di variare il nostro suono il più possibile all’internbo del disco. Ci fa molto piacere essere riconosciuti come band.

16 ottobre 2009

FLORENCE + THE MACHINE




Florence Welch è un personaggio conosciuto nelle notti londinesi. Gli after che organizza nello squat dei Big Pink nella zona est della città sono leggendari, difficile trovare una party harder che le tenga testa. Nata a Londra ventidue anni fa, figlia dell’americana Evelyn Welch nota critica d’arte habitué dello Studio 54 e della Factory, da cui ha ereditato talento e desiderio di fare festa, Florence ha un carattere solare ed esuberante, ama la notte e la natura, è dolce ma anche ribelle, sicuramente da adolescente inscenava di dormire e scappava a notte fonda dai rami dell’albero che fanno capolino dal suo davanzale. Basta vedere quanto è a suo agio tra gli alberi di Hyde Park, dove l’abbiamo incontrata poco prima di aprire il concerto dell’estate: la reunion dei Blur. Lungs è il suo debutto discografico, ma per apprezzare del tutto Florence + the Machine bisogna vederla dal vivo, c’è un feeling speciale che la lega al palcoscenico che solca sempre a piedi nudi, come se si trovasse all’aria aperta, nella campagna inglese, con qualla sensazione di terriccio umido e prato che penetra tra le dita che fa sentire vivi e spavaldi. Quando le luci si spengono, inizia la magia, prima s’intravede una chioma rossa che sbuca dalla penombra avvolta da lampi in controluce, poi le sue lunghe gambe bianchissime che lascia sempre scoperte prima di rivelare la sua voce nitida, forte e meravigliosa tanto da farci credere di vivere un sogno, è come se per lei cantare sia la cosa più naturale del mondo. Un pò Kate Bush un pò Chrissie Hynde, eterea e punk, un vestitino a fiori e sopra un chiodo, l’arpa e la batteria, un sussurro e un urlo liberatorio, un attimo saltella leggiadra e subito dopo si lancia a terra a ginocchia nude, parte dolcemente e quando meno te lo aspetti arriva all’headbanging. Il mondo di Florence è fatto di contrasti e perdersi dentro è meraviglioso.

“Quello che faccio è quello che sono, non mi sono mai fermata a pensare: Cavoli che bella voce che ho! Ho sempre cantato nella mia vita sin da quando sono nata. Pensa che ho sempre avuto problemi di memoria a scuola, l’unico modo per me d’imparare un testo era trasformarlo in canzone”.

Nelle tue canzoni e nel tuo immaginario c’è una forte connessione con la natura e con gli animali, da dove nasce?

Credo sia l’Inghilterra stessa a trasmettere questo legame ai suoi abitanti, abbiamo una campagna meravigliosa e credo sia impossibile non subirne l’influenza in qualche modo. Amo i conigli, le volpi, i boschi la notte mi affascinano e mi terrorizzano allo stesso tempo, difficilmente se vedo un bell’albero resisto nell’arrampicarmici sopra. Ho sempre desiderato una casa sull’albero ma non l’ho mai avuta, probabilmente ero io stessa un albero in un'altra vita.

Il tuo album si chiama Lungs, (Polmoni n.d.g.), lo hai intitolato così perché la tua musica è come una boccata d’aria fresca da respirare a pieni polmoni?

Ahahah! Il concetto è questo: se spoglio la mia musica di tutto il superfluo resterebbero la batteria e la voce, la prima rappresenta il battito del cuore e la mia voce sono ovviamente i polmoni. Between Two Lungs è il pezzo che apre il disco e i miei live.

Hai vinto il premio della critica agli ultimi Brit Award mesi prima di aver pubblicato l’album, come ti sei sentita?

Sorpresa anche se cerco di non pensarci, l’attenzione della stampa mi fa paura, mi terrorizza a morte, io voglio solo fare la mia musica e non pensarci.

Le tue canzoni sono poetiche ed emozionanti, la tua voce è forte, le tue esibizioni live a tratti selvagge, nella tua musica dolcezza e forza diventano un tutt’uno, ti ci ritrovi?

Sì, sono una donna, sono vulnerabile ma anche forte, si pensa che le donne siano fragili e indifese ma non è così, siamo anche più forti degli uomini, io ce la metto tutta per raggiungere un obiettivo e mi batto per quello che faccio, scendere a compromessi non è nella mia indole e difficilmente cambio idea. La mia personalità ha molte sfaccettature, il mio disco è nato sul finire di una storia d’amore molto importante, c’è sofferenza ma anche forza. Questo album mi ha insegnato ad andare avanti, ho incanalato la mia rabbia e le mie amarezze in ogni singola canzone. Non ho mezze misure, sono dominata dalle mie emozioni, se sono contenta sono un vulcano in eruzione e se sono depressa non ho nemmeno la forza di parlare.

Qundi se i tuoi testi sono basati su esperienze personali pensando a Kiss with a Fist mi viene da chiederti se hai davvero dato fuoco al letto durante un litigio d’amore…

Ahahah! Diciamo che sono molto istintiva…

Tornando alla canzone, hai ricevuto più baci o più pugni nella tua vita?

Oh fuck... bacetti! Un sacco di bacetti.

Quando sei sul palco sei come posseduta dalla tua stessa musica, ascoltando le tue canzoni non ci si immagina una tale carica dal vivo che ti prende fino a farti fare stage diving sulle persone esaltate e allo stesso tempo sconcertate dalla tua energia live…

Mi sento libera sul palco! Felice di suonare la mia musica, credo che troppe persone nel quotidiano non si lasciano andare, sono vittime di troppe costrizioni, hanno timore di esprimere liberamente le proprie emozioni, io ne morirei. L’amore, la vita, la voglia di divertirsi, di fare qualcosa di stupido solo per farci sopra una risata, lasciarsi andare anche semplicemente ballando tra la folla ad un mio concerto, questo voglio da chi viene a vedermi, voglio respirare la libertà.

C’è anche un non so che di teatrale nei tuoi live ed anche nel modo in cui gesticoli mentre parli qui ora…

Dici? Beh diciamo grazie a Shakespeare.

Cosa t’ispira di più?

La competizione, il pormi delle domande, l’arte, una fotografia, camminare a piedi nudi nella rugiada mattutina, andare in bicicletta per le strade di Londra, la vita.

Com’è il tuo background musicale?

Da ragazzina ascoltavo musica punk, The Clash, The Ramones, poi sono arrivati il grunge e i Nirvana, poi ho scoperto il northern soul, i Talking Heads, Joy Division, e sono una grande fans dei mixtape.

Si dice che i party che organizzi a casa dei tuoi amici The Big Pink siano leggendari, cosa mi racconti a riguardo?

(Florence guarda in alto, poi per la prima volta arrossisce e ridacchia). Mi piace divertirmi non so che dire, anche se ultimamente non ne ho più il tempo e mi dispiace un sacco ora che mi ci fai pensare… Ho molti amici e sì mi piace fare casino con loro.

Mi piace il modo in cui mostri le tue gambe, è molto old style rock n roll!

Grazie! Ahahahah! Dimentico sempre d’indossare i miei pantaloni! Sai cosa mi è successo al concerto alla Brixton Academy?

No dimmi!

Indossavo un abito turchese molto leggero tenuto insieme solo da una spilla, durante il concerto si è aperta e mi sono ritrovate a cantare in canottiera e coulotte, ho chiuso il set lanciandomi sulla folla. Mi sono rivista e sembravo una pazza!

Sembra molto divertente, vedi che sei ancora punk sotto sotto…

Ahahah, ci sono molti modi di sentirsi punk e forse questo è il mio!

PATRICK WOLF


Era il 2004 quando Patrick Wolf uscì come dalle pagine di un racconto di Charles Dickens giocando alla ruota con il cerchio tra suoni celtici e pop avant-garde con un effetto strano e meraviglioso allo stesso tempo. Dopo essersi dichiarato libertino in Wind in the Wires, il suo masterpiece, firma con una major e nel 2007 pubblica The Magic Position il suo album più pop, glam e queer. Ma il mondo mainstream non lo capisce così se ne va incompreso e snobbato come un Macaulay Culkin in Mamma ho Perso l’Aereo ma travestito da Principe Caspian in Gareth Pugh. Senza perdersi d’animo Patrick apre un sito e si autoproduce finanziato dai suoi fans che diventano azionari di questo nuovo capitolo della sua storia: Battle, un concept diviso in due parti The Bachelor e The Conqueror. Un lavoro pieno d’idee e dalle possibilità infinite, in cui la voce di Tilda Swinton incontra i suoni techno di Alec Empire, in cui l’innocenza si scontra con la sessualita, la perversione, la malinconia e tutte le crude verità che riserva la vita. Che la battaglia abbia inizio.


Il tuo nuovo album è la prima parte di un progetto doppio, chiamato Battle. Ora hai pubblicato The Bachelor e l’anno prossimo uscirà The Conqueror a completarlo. Com'è nata questa idea e il progetto in generale?
E' iniziato tutto con un album unico ma con due tipi molto differenti di canzoni che non sapevo come unire. Prima ho iniziato a scrivere di un tempo della mia vita in cui ero molto solo e con un punto di vista pessimista riguardo all'amore. Poi però sono entrato in un periodo felice della mia vita, in cui ho iniziato una nuova relazione e ho sentito che dovevo esprimere delle emozioni positive. Quindi mi sono ritrovato con due gruppi di sensazioni e di tracce molto diverse, e in tutto circa una quarantina di canzoni da registrare. Il problema a quel punto è diventato di tipo finanziario: era praticamente impossibile produrre tutto allo stesso momento. Allora ho iniziato a fare la prima parte e in luglio registrerò la seconda. Il secondo album sarà una sorta di sequel, come la parte 1 e 2 di un film. E più avanti potrebbero anche uscire insieme come Battle.

Parlando di te, sembra che l'opinione della gente sia divisa in due: c'è chi ti vede come un artista importante e che ha segnato una svolta, altri che ti considerano poco più di una pop star. Che ne pensi di questa duplice opinione?
So che ci può essere un'opinione un po' negativa di me ma penso che sia dettata spesso dal fatto che ho iniziato ad avere pubblico, a fare tour, ad avere un buon seguito, ormai da sei anni. Chiunque ha successo nella vita deve pensare che c'è qualcuno sempre pronto a farti scendere. Sono rispettato da persone che io considero importanti in diversi settori. Comunque, non cambierei la mia vita con niente al mondo: è importante essere controversi e creare opinioni diverse alla gente e dar loro qualcosa a cui pensare.

In tutto l'album c'è una sensazione parecchio triste, un sentire molto drammatico. Sembra quasi che non ti importi del lato bello delle cose...
Personalmente e dal punto di vista dei testi, penso che sia così. Musicalmente è una sorta di combinazione tra ciò che può essere definito felice e le parti tristi. Credo che la mia musica possa dare fiducia in qualche modo a chi si sente depresso.

Hai parlato dei testi. Citi spesso situazioni politiche o anche l'argomento del suicidio. Sono basati su fatti personali?
Sì, assolutamente. Scrivo direttamente dalle esperienze che documento nella mia vita. C'è la parte politica in cui io do le mie opinione su quello che succede e sì, nominando i suicidi, c'è la vicenda di un amico che è scomparso un paio di anni fa. Tutto quello che c'è nell'album è la trascrizione di un'esperienza diretta.

Guardando indietro nella tua carriera hai cambiato radicalmente la tua immagine. Prima sembravi una sorta di Peter Pan, sognante e fiducioso, adesso hai un lato dark molto più presente. Sei d'accordo?
Assolutamente. Penso che le persone a un certo punto chiedano di andare oltre la fantasia o il mondo magico che ho disegnato. E' una cosa che ho fatto spesso negli ultimi tre album, mentre adesso mi sembrava giusto andare in un'altra direzione. Credo sia un'evoluzione naturale.

Questa tensione si nota anche all'interno dell'album. Come riesci a passare dalle parti elettroniche a quelle acustiche anche all'interno della stessa canzone? Ti viene naturale?
Sì, è un istinto naturale. A volte è molto diretto e spontaneo, altre volte penso alle mie radici e le esploro a fondo volontariamente. Non discrimino tra elettronica e acustica: è come guardare il mondo in bianco e nero. Lo vedo come un processo naturale, è la mia natura, non mi interessa il suono finale dell'album, deve essere coerente con me.

Anche nel tuo video Volture si nota molto questo cambiamento...
Beh sì, il video è una metafora visuale: usare il mondo del sadomaso per esprimere una sorta di tendenza autodistruttiva, o almeno confusa. In alcuni momenti una persona può essere potente ma allo stesso tempo sottomessa, non soltanto dal punto di vista sessuale, ma proprio come metafora della vita.

L'hai diretto tu, vero?
Sì, ho fatto tutto io. Volevo sperimentare un approccio self-directed. L'ho creato io, parlando di me stesso.

Sembra che tu abbia una forte connessione con il mondo fashion e del design. Sia per i video che per i live, i tuoi look sono sempre curati ed eccentrici...
Non sono così connesso con la moda, in realtà. Ci sono dei miei amici che io considero più artisti che designer, che realizzano pezzi magari non legati ad alcun trend. Mi piace indossare alcune loro creazioni, ma le vedo come visioni creative, non come capi di moda.

Senti, ultima domanda: com'eri da piccolo?
Ero un bambino molto energico! Mi piaceva girare per casa nudo, gridare, correre, urlare, rompere le cose. In effetti, già da allora mi piaceva essere al centro dell'attenzione, come su un palco. Poi, avevo un ottimo rapporto con mia sorella: avevamo il nostro mondo parallelo, il nostro linguaggio. Poi, quando sono diventato un teenager è stato più duro mantenere questo mondo e mi sono dovuto scontrare con la realtà.

Marco Cresci e Matteo Zampollo

8 ottobre 2009

AIRYS



Il giorno che Esco, il primo video di Airys, ha fatto la sua comparsa on line la comunità notturna milanese, e qui mi ci metto in mezzo, ha messo in atto una vera e propria rivolta su Facebook e tra insulti, commenti a sproposito e poche critiche costruttive il nuovo progetto di Syria oggi Airys è stato demolito nell’arco della durata della canzone stessa, o forse meno. L’intento di Airys e dei suoi alleati, Giulio Calvino e Sergio Maggioni degli Hot Gossip, è stato quello di provare a fare un disco di musica electro pop, che strizza gli occhi ai grandi del settore. Le canzoni di Airys attingono da Kylie, Goldfrapp, Madonna, Yelle unendo ritmi disco alla tradizione cantautorale italiana di Battisti e allo stile electro della prima Bertè. Una novità in Italia diciamolo. La cosa che stride è la connotazione del progetto strettamente legata ad un ambiente notturno milanese, che ha fatto diventare il tutto quasi una propaganda a favore di certe serate e locali in cui regna la voglia di apparire, in foto, in video, di persona. Il video di Esco è molto bello e la tecnica stop motion in Italia in pochi l’avevano usata, un applauso al regista. Vivo Amo Esco è il titolo di questo e.p. ben prodotto e costruito ma con un difetto che non sta nella musica ma nel nome, perché Airys? girarsi il nome al contrario ok è un gioco, ma si può giocare anche restando se stessi, si è più credibili, soprattutto con una carriera decennale alle spalle. Ma anche mascherarsi fa parte del popolo della notte, no?

Come sei diventata Airys?

Da quando vivo a Milano, città maledetta in senso buono, ho imparato a diventare più curiosa. A Roma avevo un’altra attitudine e frequentazioni. Da quando ho cominciato ad andare ad Ibiza a fare la vacanziera mi si è aperto un mondo che mi ha fatto venire voglia di frequentare un po’ di realtà danzerecce. Dall’ultimo album che ho fatto come Syria insieme ai La Crus mi si è aperto un mondo, mi sono lasciata andare verso nuove esperienze. Poi nei locali ho conosciuto gli Hot Gossip e mi sono ritrovata a fare dei dj set insieme a Giulio e Sergio e ci siamo subito trovati. All’inizio mi han proposto di fare un solo pezzo, un’esperimento alla Roisin Murphy all’italiana con un’attitudine cantautorale più nostra. Alla fine ci siam divertiti così tanto che è diventato un progetto concreto e dal prestare la voce siamo diventati un tutt’uno, con la voglia di divertirsi come comun denominatore.

Perché ti sei girata il nome al contrario e non sei rimasta Sirya?

Perché non mi andava di tenere il nome Sirya perché vorrei continuare a fare quallo che ho fatto come cantante prima d’ora, mi piaceva l’idea di avere una doppia personalità. Ecco credo che questa sia un problema strettamente legato all’Italia, all’estero quanti sposano cause diverse e artisti che fanno folk si mettono a fare electro sotto uno pseudonimo? Allora mi butto anche io! Non devo dimostrare nulla a nessuno e non ho più paura, non credo ci siano altre mie colleghe dotate di questo coraggio.

Hai un passato decennale in cui hai fatto un sacco d’esperienze diverse, è stato difficile sopravvivere?

Sì! Ma ti dico la verità, oggi mi sono rotta i coglioni di quella grande esposizione che ho avuto in passato, mi è servita e mi sono aiutata passando dal neomelodico, al radiofonico, lavorando con Jovanotti, Tiziano Ferro, Giorgia e tanti altri. Oggi esistono X-Factor e Amici e se voglio sopravvivere al sistema preferisco fare le mie cose anche se andranno a scontarsi con realtà che sono diverse dalla mia abituale. Oggi mi godo le cose in un altro modo e sono felice, tanto.

Oltre agli Hot Gossip hai coinvolto un po’ tutta la italo disco del momento in questo progetto…

L’italo disco del nord! Dariella, Amari, Peluche, Cecile, Titan, NT89, son tutti dj che mi è capitato di conoscere in questi anni in cui mi sono confrontata e siamo diventati un gruppo, per questo ho fatto remixare loro le mie canzoni.

Il video lo hanno girato i ragazzi di Died Last Night, è molto bello e innovativo per Italia…

I ragazzi di Died Last Night hanno scattato dodicimila foto per realizzarlo, il video di Esco per me è un documentario sul mio mondo notturno, non so come verrà percepito ma io sono contenta se il video passerà di notte, non mi interessa la heavy rotation.

Il primo riferimento che ho sentito ascoltando Esco a livello vocale è Loredana Bertè, cosa ne pensi?

Mi fa molto piacere, in effetti è un ottimo riferimento, perché è un po’ scanzonata com’è lei, io nel 96 ho vinto Sanremo giovani con un pezzo della Bertè che è Sei Bellissima quindi vedi, tutto torna, Loredana è nel mio cuore.

Io Ho Te invece è una cover della Rettore…

Amo quel pezzo, è cattivo e aggressivo, è la mia preferita del disco.

Kylie, Roisin Murphy, Madonna, Goldfrapp, Uffie, Yelle, c’è un po’ tutta la storia dell’electropop nell’ep dagli ottanta ad oggi.

Sì ma in versione “De Noantri” ahahah! Airys è un progetto totalmente pop, noi lo chiamiamo power pop-electro club, che non vuol dire tutto e nulla. Però ammettiamolo, in Italia questa cosa ancora non è uscita, siamo stati i primi senza essere estremi, abbiamo assorbito l’influenza estera e l’abbiamo interpretata. Io credo che dopo il primo concerto dei Justice a Milano è cambiato tutto, è esplosa una scena e si è ramificata, la musica è cambiata e c’è voglia di accogliere tante cose fine ad arrivare a raggiungere il proprio stile. In futuro.

Come pensi verrà recepita Airys?

Questo per me è un esperimento, per molti rimango Sirya, chi mi conosce sa che da me ci si possono aspettare certe cose soprattutto dopo il disco Un’altra Me, e molti puntano il dito soprattutto su Facebook dove mi dicono che non posso permettermi di fare questo perché tanto sono sempre quel che sono. Ma mi diverte, è un confronto continuo e non mi pesa, la verità è che non voglio criticare nessuno, faccio le cose in nome di un po’ di felicità. L’importante è farle dignitosamente.

Marco Cresci

THE DO


Prendete un compositore di colonne sonore francese, intimista e tenebroso e fatelo incontrare con una finlandese sexy e rockettara, due personalità e due mondi così lontani e diversi quando si incontrano generano attrito o accade la magia, è questo il caso dei The DO. Dan Levy e Olivia Bouyssou Merilathi, le cui iniziali formano il nome della band oltre che quello di una nota musicale, nascono artisticamente a Parigi, lei arriva dalla scena rock finlandese, lui crea colonne sonore, A Mouthful è il titolo del loro primo album in cui la malizia di Olivia che si muove come una Lolita, si mescolano all’esperienza di Dan, l’uomo maturo, creando un impasto indie folk rock sensuale, scazzato e accattivante. La voce di Olivia si muove sui binari del polistrumentista Dan come un rollercoaster in un parcogiochi, ci sono cadute vertiginose, loop, svolte inaspettate, ma anche salite in cui tirare il fiato, prima di precipitare di nuovo in un turbine di divertimento.

Ciao Olivia, mi racconti come hai incontrato Dan?

Ci siamo incontrati nel 2004 a Parigi, stavamo lavorando entrambi ad una colonna sonora ma separatamentre, ad un certo punto ci siamo ritrovati a dover comporre delle canzoni inisieme e ci siamo trovati così bene che abbiamo formato la band.

Quindi anche tu come Dan componi colonne sonore?

No è stata la mia prima ed unica volta, Dan è un veterano compone per la tv, per il teatro, per propiezioni d’arte contemporanea, io invece ho diverse band alle spalle con cui ho suonato, ho vissuto quell’esperienza più come un gioco.

Quindi tu sei l’anima punk dei The Do!

Ahahah! No dai! In effetti mi son trovata a suonare strumenti che non avevo mai suonato prima, Dan è un polistrumentista bravissimo quindi mi ha insegnato ha suonare il basso e la chitarra, in questo sul palco sono sicuramente punk, non avevo mai cantato e suonato contemporaneamente prima.

Insieme siete un curioso miscuglio di razze e personalità, avete gusti simili o vi scontrate?

Siamo diversi perché come hai detto tu proveniamo da diverse culture, Dan è nato e cresciuto in Francia ma sua mamma è inglese e suo papà ha origini asiatiche, io ho la mamma finlandese e il papà francese quindi abbiamo questo mix di culture. Dan mi ha fatto scoprire il lato strumentale della musica, esplorando il jazz e la musica classica, lui è un ragazzo da studio mentre io gli ho mostrato la melodia, il pop, e come ci si esibisce su un palcoscenico.

Mi piace molto il modo in cui canti, la tua voce sembra quasi uno strumento e mi piace la tua attitudine scazzata, a volte sembra che sei quasi annoiata, come una ragazza viziata che deve cantare per forza, ti ci ritrovi in questo?

Ho my God! Ahahah! Il nostro intento era quello di fare qualcosa di diverso nella musica e nel cantato, per questo gioco un sacco con la mia voce nel disco. Non è stato così facile, anche perché nessuno di noi due sapeva come comporre un album, non lo avevamo mai fatto prima quindi abbiamo iniziato scrivendo canzoni più che un album. Abbiamo cominciato per divertimento, scrivendo canzoni per noi, le prime canzoni che abbiamo creato sono state Playground Hustle e Queen Dot Kong che sono i duei episodi più sperimentali del disco. Ci siamo divertiti un sacco, lo studio è la nostra casa.

So che avete suonato degli oggetti comuni per ricreare dei suoni, mi fai qualche sempio?

E’ uno dei nostri passatempi preferiti ricavare suoni da oggetti che non sono strumenti, mi ricordo quando abbiamo spaccato un vaso di fiori interrati sul paviento, un suono davvero curioso, o quando siamo usciti per strada in cerca di un martello pneumatico!

La prima frase che pronunci in Playground Hustle traccia che apre l’album è “We Are Not Crazy”, è una dichiarazione?

Perché lo siamo! No? Abbiamo messo quella canzone all’inizio dell’album perché è una delle meno convenzionali, ci divertiva l’idea di far trovare qualcosa d’inaspettato all’inizio del disco, iniziamo una rivoluzione! E’ un atto di ribellione perché prima di allora avevamo lavorato insieme ma solo sotto la guida di un regista che ci chiedeva specificatamente cosa fare, in studio ci siamo trovati liberi e questa euforia si è trasformata in tante canzoni. La nostra etichetta non voleva Playground Hustle come prima tarccia, insinuava che la gente sarebbe scappata ascoltandola, così abbiamo lottato per metterla proprio in apertura. Libertà!

Io credo che al massimo incuiriosisca chi l’ascolta nel voler sapere cosa succede dopo…

Esatto! Grazie, per noi è la canzone che rappresenta al meglio la nostra musica.

I tuoi testi sembrano dei racconti, il giusto mix tra fantasia e realtà, è così?

Sì, non mi piace scirvere i testi come un diario, ma mi piace raccontare storie partendo da spunti personali, come se dovessi raccontarle ai miei figli anche se ancora non ne ho, ma senza essere infantile, mi piace usare l’immaginazione e farcirla di simboli. I racconti che mia mamma mi raccontava da piccola in finlandese mi hanno influenzato molto, racconti molto forti legati alla nostra tradizione.

Toglimi una curiosità, nelle vostre foto Dan sta sempre giocando con i suoi vestiti, si allaccia i pantaloni, si abbottona la camicia, come se fosse stato appena colto sul fatto…

Eheheh, beccato! Dal mio punto di vista sono foto molto spontanee, la maggior parte sono state scattate in Florida durante una vacanza, poi lasciamo spazio all’immaginazione di chi le guarda…

Di cosa non puoi fare a meno in questo momento?

Dei leggins! Non riesco a liberarmene, non riesco più ad infilarmi in un paio di pantaloni.

Si parla di vestiti, hai un designer favorito?

Credo che i designer giapponesi abbiano l’immaginazione più fervida, creano vere opere che sono per me la continuazione delle storie che amo leggere o scrivere. Nei loro vestiti c’è la storia, non si prendono troppo sul serio e amano osare con i colori come fa Tsumory Chisato uno dei miei preferiti.

So che hai registrato un paio di canzoni con Luke Pritchard dei The Kooks, che fine faranno?

Ma questo era un segreto! Sai che non lo so, probabilemnte verranno usate come b-side dai Kooks, mi piace molto la sua voce e a lui la mia, ci siamo conosciuti ad un festival in Inghilterra e alcuni giorni dopo abbiamo registrato un paio di cover degli anni ’60. Spero di sentirle presto.

Il disco che non riesci più a togliere dal tuo lettore?

Sono due, Alcohol di Goran Brecovic, un musicista fantastico e The Sicilian del tenore Roberto Alagna, ho una passione innata per le canzoni napoletane.

Marco Cresci

SCOTT MATTHEW


Cantautore dall’anima fragile e dalla voce flebile, Scott Matthews sì è fatto notare con il suo omonimo debutto e con la sua interpretazione canora nel film culto Shortbus. Corteggiato dal mondo della moda, icona della scena gay underground e songwriter di talento, l’australiano fuggito a New York pubblica l’atteso secondo album There is an Ocean that Divides… ed è di nuovo magia, poesia, malinconia, sussurri su chitarre pizzicate che avvolgono testi intimi, sali e scendi emotivi e un romanticismo che oggi si fatica trovare nel cantautorato. Barba lunghissima e ciuffo davanti agli occhi si capisce subito che Scottie, come ama farsi chiamare, è timido, introverso, solitario, ma dategli un bicchiere di vino e una platea di amici e si trasforma in un cabarettista, sagace, pungente e affascinante. Impossibile mascherare i suoi sentimenti e come titola il nuovo album, l’oceano e la lontananza che lo divide dai suoi desideri ed aspirazioni ci arrivano con tutta la sua forza culmimando in questo atto d’amore per la musica.

Quali sono i temi che dominano il nuovo album?

I soliti! Ahahah! Miseria, brama, assenza d’amore, desiderio, sono temi sempre presenti nelle mie canzoni, ma credo d’aver aquisito in questi ultimi anni più confidenza con me stesso e l’aver ricevuto molte gratifiche mi ha aiutato. Per questo nonostante fossi sempre impegnato ho trovato il tempo di fare l’album e poi avevo praticamente tutte le canzoni pronte, le ho scritte durante il tour.

Quindi è un album nato on the road?

Sì perché sono stato in giro per due anni, appena avevo tempo scrivevo nel van o in una camera d’hotel poi quando sono tornato a New York ho raccolto le idee e sistemato il tutto.

Ti preoccupi del giudizio altrui mentre crei un album?

Sì e per questo cerco di non farlo, la paura fermerebbe il processo creativo, ma ogni volta che il disco è finito e viene mandato in stampa ho una specie di crisi di nervi perché divento consapevole del fatto che le persone lo ascolteranno giudicandomi. E’ spaventoso.

I tuoi testi sembrano poesie, hai studiato o è il tuo modo spontaneo di scrivere?

Non ho mai preso lezioni ne in musica ne in poesia, sono una specie di dumb ass! Il mio modo di scrivere è sempre stato questo, forse in questo album ho deciso di sperimentare un pochino ad esempio ci sono due canzoni Dog e German in cui ho cercato di scrivere da un'altra prospettiva, senza raccontare in prima persona ma facendo parlare un personaggio.

Credo sia dai tempi di When the pown… di Fiona Apple, che non ci troviamo di fronte ad un titolo lungo quanto quello del tuo nuovo album, There is an ocean that divides and with my longing I can charge it with a voltage that's so violent to cross it could mean death” …

E’ vero non ci avevo pensato, ma sai cosa mi ha spinto a farlo? Tutte le persone che mi han detto di non farlo perché suonava pretenzioso, autoindulgente o stupido. Per me è un bel pezzo di prosa che doveva assolutamente finire in una canzone che poi è divenatta la title track, trovo sia perfetto per esser sussurrato come titolo dell’album. Inoltre credo che esprima in una frase tutto quello che vorrei dire ed è intenzionalmente romantico e drammatico.

Leonard Cohen ha detto: “Potrei passare un anno intero a scrivere lo stesso testo in cerca della sua perfezione”, tu come la pensi?

Lui è un perfezionista, io no, per me sarebbe un enorme perdita di tempo lavorare in quel modo! Per me è qualcosa di molto spontenao, qualche volta torno in dietro e cambio qualcosa in fase di registrazione ma non mi piace tornare più volte su quel che ho fatto, prefersico pensare al passo successivo. Ammiro il modo di lavorare di Cohen perché vuol dire che è estremamente cosciente in quello che fa, io sono meno attento al mio songwriting, accade e basta.

C’è un tema ricorrente nelle tue canzoni?

Stranamente in tutti i miei due album parlo molto di Dio e non sono assolutamente religioso…

Quindi perché ti sei trovato a parlarne?

Perché Dio è un simbolo universale con il quale chiunque può relazionarsi, almeno credo, sono cresciuto in un ambiente religioso ma non andavo in chiesa e non provo ne paura, ne colpe, ne vergogna se penso alla religione, ma credo che inconsciamente Dio faccia parte della mia vita. Mi sono trovato molo a pensare ai valori medi che la società t’impone rispetto a quelli che sono i miei valori. Poi ci sono l’amore, la perdita, la solitudine che è sempre presente nei miei testi, anche quando canto d’amore c’è sempre una spruzzata di malinconia.

Ti è mai capitato di fermarti e pensare “Cosa sarebbe successo se non avessi fatto quel che ho fatto”?

Sempre, io sono molto insicuro, mi sento vulnerabile soprattutto quando sono sul palco, ora sono più a mio agio ma all’inzio guardavo il pubblico e pensavo: Ma chi me lo ha fatto fare? Odio espormi perché è faticoso ma sto imparando a sentirmi parte del palco e non solo un suo complemento.

Come passi il tuo tempo libero?

Cazzeggiando con gli amici e bevendo troppo! Sono cresciuto in campagna quindi quando posso scappo da New York per andare verso la natura, è una sorta di richiamo istintivo.

A proposito di New York, anche tu credi sia cambiata in peggio?

Oh si, drasticamente! Ha perso quella spontanea creatività che l’ha resa famosa, non c’è più eccitazione, fermento, ma c’è più sicurezza e tutto costa tantissimo, uno scambio vantaggioso no?

Hai un angolo prerito della città?

Waterfront sull’East River a Brooklyn, c’è un parchetto dimenticato che affaccia sulla spiaggia e d’estate io e i miei amici vi passiamo tutto il tempo, in realtà la chiamiamo spiaggia ma è acqua tossica e ci aspettiamo sempre che prenda vita da un momento all’altro. Ahahah!

Le tue canzoni hanno un lato tenero e fragile, ma tu come sei?

Fragile, tenero e con uno spiccato senso comico, amo ridere e rido tantissimo, le persone buffe e divertenti mi attraggono e mi aiutano ad allontanarmi dalla solitudine che ho sempre presente in me. C’è un grosso clown nascosto in me.

Cosa ti manca di quando eri bambino?

Che non avevo responsabilità e non dovevo pagare le tasse, odio i doveri di un adulto anche se non ho avuto un’infanzia idilliaca quindi ci sono anche molte cose che preferisco dimenticare.

Avevi un giocattolo preferito?

Non avevo giocattoli, avevo animali, vivevo in un fattoria, giocavo con le galline, con i conigli e con le mucche. I cespugli australiani erano il mio campo giochi…

Cosa ti spaventa?

Faremmo prima a parlare di quello che non mi spaventa. Mi spaventa l’idea di non riuscire a coltivare una relazione, non riconoscere l’onestà delle persone, perdere l’abilità di avere speranza e diventare cinico, non potrei mai sopportare l’idea di diventare cinico, cerco sempre di essere ottimista.

Ti senti mai colpevole per un tuo vizio?

Le sigarette! Le amo e le odio non posso stare senza e poi la televisione, la amo.

Cosa ti piace guardare?

Tutto quello che è spazzatura, il canale dei gossip, i reality, e un sacco di serie amo Big Love.

Hai mai pensato di trasferirti?

Da New York sì ma non credo che potrei mai lasciare l’America perché ho costruito un collettivo che è anche la mia famiglia con cui lavoro benissimo e al quale non potrei rinunciare.

Riesci ad immaginarti senza barba?

No! Morirò con questa barba, seriamente, sono dieci anni che ce l’ho e credo che sarebbe un orrendo shock per me guardarmi allo specchio sbarbato, come se al mio posto vedessi Michael Jackson.
Ahahah! Correrei a comperarmi una barba finta in attesa che la mia ricresca.

Scott Matthew
17 luglio, Ferarra sotto le stelle, ingresso gratuito.

PETER BJORN & JHON


Chi non è stato contagiato dal fischiettio di Young Folks alzi la mano! Canzone simbolo dell’estate 2006 sdoganò definitivamente il pop folk strampalto e creativo del trio svedese Peter, Bjorn & John, prima di allora gruppo di nicchia idolatrato nel settore e fonte d’ispirazione per diversi artisti, prime su tutte le Au Revoire Simone. Ciò che si fa apprezzare maggiormente di questo trio è l’originale spontaneità che convive in ogni album compreso Living Thing, il loro quinto, in cui devono dimostrare di non essere il classico fenomeno da una hit. Il nuovo album va oltre il pop gioioso che li ha resi celebri, è un’avventura sonica colma di chitarre darkeggianti, synth, drumbeat, semplici melodie vocali, cori di bambini e deliziosi handclapping. Un disco da scoltare in cuffia, per coglierne ogni sottile intuizione, meglio di notte su un’altalena del parcogiochi di quartiere, illuminati solo dal chiaro di luna.

Peter, ogni vostro disco si differenzia dal precedente, Living Thing è il quinto, non dev’essere facile riuscire a creare qualcosa di nuovo ogni volta…
No non lo è, ma non ci piace ripeterci, non vogliamo annoiarci di noi stessi, la nostra sfida quando iniziamo a lavorare ad un nuovo album è sempre quella di valicare i nostri confini e spingerci musicalmente dove non siamo mai stati. Prima di stupire l’ascoltatore vogliamo stupire noi stessi. Questo album dopo il successo di Young Folks ci è servito come terapia, per la prima volta non siamo entrati in studio di getto e abbiamo creato, il disco è nato negli sprazzi di tempo libero che ci concedevamo quando ne sentivamo il bisogno, questo ci ha permesso di curare ogni dettaglio. Non si può duplicare il successo, va conquistato di volta in volta.

Questa volta non ci sono fischiettii ma handclapping sparsi qua e là, vi divertite a ricreare suoni con parti o abilità del corpo?

Assolutamente, ci piace ricreare suoni da oggetti non comuni non solo utilizzando il nostro corpo, in questo album abbiamo suonato scatole di fiammiferi, bottiglie, coltelli, un ombrello… cerchiamo di non annoiarci insomma!

Nel singolo Nothing to Worry About c’è un coro di bambini, com’è stato lavorare con loro e cosa ha ispirato il pezzo?

Quando abbiamo scritto il pezzo avevamo in mente di fare qualcosa sullo stile di Hard Knock Life di Jay Z, abbiamo un amico che insegna alla School of Rock di Vasteras in Svezia un posto incredibile per i ragazzi che vogliono iniziare a suonare, ci ha suggerito due ragazzine molto talentuose che abbiamo tarsformato in un coro.

L’album si chiama Living Thing ma in copertina c’è il disegno di una natura morta con tre teste d’animali impagliate, un contrasto voluto?

Quando facciamo un nuovo album abbiamo un paio di regole che ci piace seguire, la prima è che il titolo dev’essere composta da due parole che si devono poter dividere in tre sillabe, e dopo l’omonimo debutto abbiamo avuto Falling Out, Writer’s Block, Seaside Rock e adesso Living Thing, mentre in copertina ci devono essere sempre tre oggetti che rappresentano i membri della band. Inoltre credo che il disegno di Thomas Broomé rifletta perfettamente la musica, il titolo si riferisce anche al fatto che noi siamo tre individui che vivono e pensano separatamente ma quando siamo insieme diventiamo una band, quindi un oggetto vivente.
A proposito di voi ragazzi, come coordinate le vostre teste in studio, litigate o avete idee molto simili?
Litighiamo! Ma credo che litigare sia molto creativo, se andassimo d’accordo tutto il tempo credo che la nostra musica sarebbe ovvia e noiosa. Io canto e loro suonano così quando devono fare i backing vocals io li sgrido e pretendo il meglio da loro e così fan loro con me quando suono. Prima di iniziare a fare un album facciamo sempre dei mix cd con la musica che ci piace in quel momento, e dopo averla ascoltata decidiamo che ci piace un giro di basso, o un suono di batteria, è molto più facile tornare in dietro ad ascoltarlo che stare a spiegare a voce quello che vorremmo ottenere. E se pensi che io ascolto musica rockabilly, John musica classica speriemntale e Bjorn elettronica e dance il risultato è sempre interessante. Inoltre nei nostri mix cd’s c’è sempre la musica che ascoltavamo da ragazzi nelgi anno ’80 come i Duran Duran, gli A-Ha, Depeche Mode, Paul Simon, Fleetwood Mac e anche tanto funky, hip-hop e pop africano con un sacco di percussioni.

L’ultimo artista che hai scoperto e che ti ha sorpreso?
Existence Minimum, è un batterista svedese ma è anche un ottimo singer/songwriter, crea pop dal sapore kraut, dark e minimalista, un mix tra pop svedese, New Order e i Can. Incredibile!