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16 ottobre 2009

FLORENCE + THE MACHINE




Florence Welch è un personaggio conosciuto nelle notti londinesi. Gli after che organizza nello squat dei Big Pink nella zona est della città sono leggendari, difficile trovare una party harder che le tenga testa. Nata a Londra ventidue anni fa, figlia dell’americana Evelyn Welch nota critica d’arte habitué dello Studio 54 e della Factory, da cui ha ereditato talento e desiderio di fare festa, Florence ha un carattere solare ed esuberante, ama la notte e la natura, è dolce ma anche ribelle, sicuramente da adolescente inscenava di dormire e scappava a notte fonda dai rami dell’albero che fanno capolino dal suo davanzale. Basta vedere quanto è a suo agio tra gli alberi di Hyde Park, dove l’abbiamo incontrata poco prima di aprire il concerto dell’estate: la reunion dei Blur. Lungs è il suo debutto discografico, ma per apprezzare del tutto Florence + the Machine bisogna vederla dal vivo, c’è un feeling speciale che la lega al palcoscenico che solca sempre a piedi nudi, come se si trovasse all’aria aperta, nella campagna inglese, con qualla sensazione di terriccio umido e prato che penetra tra le dita che fa sentire vivi e spavaldi. Quando le luci si spengono, inizia la magia, prima s’intravede una chioma rossa che sbuca dalla penombra avvolta da lampi in controluce, poi le sue lunghe gambe bianchissime che lascia sempre scoperte prima di rivelare la sua voce nitida, forte e meravigliosa tanto da farci credere di vivere un sogno, è come se per lei cantare sia la cosa più naturale del mondo. Un pò Kate Bush un pò Chrissie Hynde, eterea e punk, un vestitino a fiori e sopra un chiodo, l’arpa e la batteria, un sussurro e un urlo liberatorio, un attimo saltella leggiadra e subito dopo si lancia a terra a ginocchia nude, parte dolcemente e quando meno te lo aspetti arriva all’headbanging. Il mondo di Florence è fatto di contrasti e perdersi dentro è meraviglioso.

“Quello che faccio è quello che sono, non mi sono mai fermata a pensare: Cavoli che bella voce che ho! Ho sempre cantato nella mia vita sin da quando sono nata. Pensa che ho sempre avuto problemi di memoria a scuola, l’unico modo per me d’imparare un testo era trasformarlo in canzone”.

Nelle tue canzoni e nel tuo immaginario c’è una forte connessione con la natura e con gli animali, da dove nasce?

Credo sia l’Inghilterra stessa a trasmettere questo legame ai suoi abitanti, abbiamo una campagna meravigliosa e credo sia impossibile non subirne l’influenza in qualche modo. Amo i conigli, le volpi, i boschi la notte mi affascinano e mi terrorizzano allo stesso tempo, difficilmente se vedo un bell’albero resisto nell’arrampicarmici sopra. Ho sempre desiderato una casa sull’albero ma non l’ho mai avuta, probabilmente ero io stessa un albero in un'altra vita.

Il tuo album si chiama Lungs, (Polmoni n.d.g.), lo hai intitolato così perché la tua musica è come una boccata d’aria fresca da respirare a pieni polmoni?

Ahahah! Il concetto è questo: se spoglio la mia musica di tutto il superfluo resterebbero la batteria e la voce, la prima rappresenta il battito del cuore e la mia voce sono ovviamente i polmoni. Between Two Lungs è il pezzo che apre il disco e i miei live.

Hai vinto il premio della critica agli ultimi Brit Award mesi prima di aver pubblicato l’album, come ti sei sentita?

Sorpresa anche se cerco di non pensarci, l’attenzione della stampa mi fa paura, mi terrorizza a morte, io voglio solo fare la mia musica e non pensarci.

Le tue canzoni sono poetiche ed emozionanti, la tua voce è forte, le tue esibizioni live a tratti selvagge, nella tua musica dolcezza e forza diventano un tutt’uno, ti ci ritrovi?

Sì, sono una donna, sono vulnerabile ma anche forte, si pensa che le donne siano fragili e indifese ma non è così, siamo anche più forti degli uomini, io ce la metto tutta per raggiungere un obiettivo e mi batto per quello che faccio, scendere a compromessi non è nella mia indole e difficilmente cambio idea. La mia personalità ha molte sfaccettature, il mio disco è nato sul finire di una storia d’amore molto importante, c’è sofferenza ma anche forza. Questo album mi ha insegnato ad andare avanti, ho incanalato la mia rabbia e le mie amarezze in ogni singola canzone. Non ho mezze misure, sono dominata dalle mie emozioni, se sono contenta sono un vulcano in eruzione e se sono depressa non ho nemmeno la forza di parlare.

Qundi se i tuoi testi sono basati su esperienze personali pensando a Kiss with a Fist mi viene da chiederti se hai davvero dato fuoco al letto durante un litigio d’amore…

Ahahah! Diciamo che sono molto istintiva…

Tornando alla canzone, hai ricevuto più baci o più pugni nella tua vita?

Oh fuck... bacetti! Un sacco di bacetti.

Quando sei sul palco sei come posseduta dalla tua stessa musica, ascoltando le tue canzoni non ci si immagina una tale carica dal vivo che ti prende fino a farti fare stage diving sulle persone esaltate e allo stesso tempo sconcertate dalla tua energia live…

Mi sento libera sul palco! Felice di suonare la mia musica, credo che troppe persone nel quotidiano non si lasciano andare, sono vittime di troppe costrizioni, hanno timore di esprimere liberamente le proprie emozioni, io ne morirei. L’amore, la vita, la voglia di divertirsi, di fare qualcosa di stupido solo per farci sopra una risata, lasciarsi andare anche semplicemente ballando tra la folla ad un mio concerto, questo voglio da chi viene a vedermi, voglio respirare la libertà.

C’è anche un non so che di teatrale nei tuoi live ed anche nel modo in cui gesticoli mentre parli qui ora…

Dici? Beh diciamo grazie a Shakespeare.

Cosa t’ispira di più?

La competizione, il pormi delle domande, l’arte, una fotografia, camminare a piedi nudi nella rugiada mattutina, andare in bicicletta per le strade di Londra, la vita.

Com’è il tuo background musicale?

Da ragazzina ascoltavo musica punk, The Clash, The Ramones, poi sono arrivati il grunge e i Nirvana, poi ho scoperto il northern soul, i Talking Heads, Joy Division, e sono una grande fans dei mixtape.

Si dice che i party che organizzi a casa dei tuoi amici The Big Pink siano leggendari, cosa mi racconti a riguardo?

(Florence guarda in alto, poi per la prima volta arrossisce e ridacchia). Mi piace divertirmi non so che dire, anche se ultimamente non ne ho più il tempo e mi dispiace un sacco ora che mi ci fai pensare… Ho molti amici e sì mi piace fare casino con loro.

Mi piace il modo in cui mostri le tue gambe, è molto old style rock n roll!

Grazie! Ahahahah! Dimentico sempre d’indossare i miei pantaloni! Sai cosa mi è successo al concerto alla Brixton Academy?

No dimmi!

Indossavo un abito turchese molto leggero tenuto insieme solo da una spilla, durante il concerto si è aperta e mi sono ritrovate a cantare in canottiera e coulotte, ho chiuso il set lanciandomi sulla folla. Mi sono rivista e sembravo una pazza!

Sembra molto divertente, vedi che sei ancora punk sotto sotto…

Ahahah, ci sono molti modi di sentirsi punk e forse questo è il mio!

PATRICK WOLF


Era il 2004 quando Patrick Wolf uscì come dalle pagine di un racconto di Charles Dickens giocando alla ruota con il cerchio tra suoni celtici e pop avant-garde con un effetto strano e meraviglioso allo stesso tempo. Dopo essersi dichiarato libertino in Wind in the Wires, il suo masterpiece, firma con una major e nel 2007 pubblica The Magic Position il suo album più pop, glam e queer. Ma il mondo mainstream non lo capisce così se ne va incompreso e snobbato come un Macaulay Culkin in Mamma ho Perso l’Aereo ma travestito da Principe Caspian in Gareth Pugh. Senza perdersi d’animo Patrick apre un sito e si autoproduce finanziato dai suoi fans che diventano azionari di questo nuovo capitolo della sua storia: Battle, un concept diviso in due parti The Bachelor e The Conqueror. Un lavoro pieno d’idee e dalle possibilità infinite, in cui la voce di Tilda Swinton incontra i suoni techno di Alec Empire, in cui l’innocenza si scontra con la sessualita, la perversione, la malinconia e tutte le crude verità che riserva la vita. Che la battaglia abbia inizio.


Il tuo nuovo album è la prima parte di un progetto doppio, chiamato Battle. Ora hai pubblicato The Bachelor e l’anno prossimo uscirà The Conqueror a completarlo. Com'è nata questa idea e il progetto in generale?
E' iniziato tutto con un album unico ma con due tipi molto differenti di canzoni che non sapevo come unire. Prima ho iniziato a scrivere di un tempo della mia vita in cui ero molto solo e con un punto di vista pessimista riguardo all'amore. Poi però sono entrato in un periodo felice della mia vita, in cui ho iniziato una nuova relazione e ho sentito che dovevo esprimere delle emozioni positive. Quindi mi sono ritrovato con due gruppi di sensazioni e di tracce molto diverse, e in tutto circa una quarantina di canzoni da registrare. Il problema a quel punto è diventato di tipo finanziario: era praticamente impossibile produrre tutto allo stesso momento. Allora ho iniziato a fare la prima parte e in luglio registrerò la seconda. Il secondo album sarà una sorta di sequel, come la parte 1 e 2 di un film. E più avanti potrebbero anche uscire insieme come Battle.

Parlando di te, sembra che l'opinione della gente sia divisa in due: c'è chi ti vede come un artista importante e che ha segnato una svolta, altri che ti considerano poco più di una pop star. Che ne pensi di questa duplice opinione?
So che ci può essere un'opinione un po' negativa di me ma penso che sia dettata spesso dal fatto che ho iniziato ad avere pubblico, a fare tour, ad avere un buon seguito, ormai da sei anni. Chiunque ha successo nella vita deve pensare che c'è qualcuno sempre pronto a farti scendere. Sono rispettato da persone che io considero importanti in diversi settori. Comunque, non cambierei la mia vita con niente al mondo: è importante essere controversi e creare opinioni diverse alla gente e dar loro qualcosa a cui pensare.

In tutto l'album c'è una sensazione parecchio triste, un sentire molto drammatico. Sembra quasi che non ti importi del lato bello delle cose...
Personalmente e dal punto di vista dei testi, penso che sia così. Musicalmente è una sorta di combinazione tra ciò che può essere definito felice e le parti tristi. Credo che la mia musica possa dare fiducia in qualche modo a chi si sente depresso.

Hai parlato dei testi. Citi spesso situazioni politiche o anche l'argomento del suicidio. Sono basati su fatti personali?
Sì, assolutamente. Scrivo direttamente dalle esperienze che documento nella mia vita. C'è la parte politica in cui io do le mie opinione su quello che succede e sì, nominando i suicidi, c'è la vicenda di un amico che è scomparso un paio di anni fa. Tutto quello che c'è nell'album è la trascrizione di un'esperienza diretta.

Guardando indietro nella tua carriera hai cambiato radicalmente la tua immagine. Prima sembravi una sorta di Peter Pan, sognante e fiducioso, adesso hai un lato dark molto più presente. Sei d'accordo?
Assolutamente. Penso che le persone a un certo punto chiedano di andare oltre la fantasia o il mondo magico che ho disegnato. E' una cosa che ho fatto spesso negli ultimi tre album, mentre adesso mi sembrava giusto andare in un'altra direzione. Credo sia un'evoluzione naturale.

Questa tensione si nota anche all'interno dell'album. Come riesci a passare dalle parti elettroniche a quelle acustiche anche all'interno della stessa canzone? Ti viene naturale?
Sì, è un istinto naturale. A volte è molto diretto e spontaneo, altre volte penso alle mie radici e le esploro a fondo volontariamente. Non discrimino tra elettronica e acustica: è come guardare il mondo in bianco e nero. Lo vedo come un processo naturale, è la mia natura, non mi interessa il suono finale dell'album, deve essere coerente con me.

Anche nel tuo video Volture si nota molto questo cambiamento...
Beh sì, il video è una metafora visuale: usare il mondo del sadomaso per esprimere una sorta di tendenza autodistruttiva, o almeno confusa. In alcuni momenti una persona può essere potente ma allo stesso tempo sottomessa, non soltanto dal punto di vista sessuale, ma proprio come metafora della vita.

L'hai diretto tu, vero?
Sì, ho fatto tutto io. Volevo sperimentare un approccio self-directed. L'ho creato io, parlando di me stesso.

Sembra che tu abbia una forte connessione con il mondo fashion e del design. Sia per i video che per i live, i tuoi look sono sempre curati ed eccentrici...
Non sono così connesso con la moda, in realtà. Ci sono dei miei amici che io considero più artisti che designer, che realizzano pezzi magari non legati ad alcun trend. Mi piace indossare alcune loro creazioni, ma le vedo come visioni creative, non come capi di moda.

Senti, ultima domanda: com'eri da piccolo?
Ero un bambino molto energico! Mi piaceva girare per casa nudo, gridare, correre, urlare, rompere le cose. In effetti, già da allora mi piaceva essere al centro dell'attenzione, come su un palco. Poi, avevo un ottimo rapporto con mia sorella: avevamo il nostro mondo parallelo, il nostro linguaggio. Poi, quando sono diventato un teenager è stato più duro mantenere questo mondo e mi sono dovuto scontrare con la realtà.

Marco Cresci e Matteo Zampollo

KASABIAN


Il West Ryder Paper Asylum è un ospedale psichiatrico edificato a Wakefield nel 1800, il suo nome è stato preso in prestito dai Kasabian come titolo del loro terzo album. Un lavoro temerario che si prefissa di scavallare i limiti della psichedelia in un vortice di emozioni quali ansia, stupore, gioia, malinconia, ira, voluttuosità, smarrimento e genio, tutti insieme a scontrasri come racchiusi nel cervello del più normale dei matti. La band di Leicester è cresciuta sotto le ali protettive dei fratelli Gallagher, che è risaputo, odiano tutti e non si sa come i Kasabian se li sono ingraziati, sarà che, per dirla alla Liam, il loro rock è “cazzutissimo”. Genio e pazzia vanno da sempre di pari passo, per farsi aiutare in questa impresa Tom Meighan e Sergio Pizzorno, voce e chitarra non che menti del gruppo, lasciano contaminare il loro rock sudicio, che ha partorito successi come Club Foot e Shoot The Runner, dalle visoni del produttore Dan the Automator. Dan infila beat e sample a profusione traccia dopo traccia, stordendo e affascinando chiunque si addentrerà tra le stanze di questo manicomio i cui pazienti ideali si chiamerebbero Primal Scream, Ennio Morricone, Rolling Stones, Tarantino, influenze evidenti di questo lavoro visionario e ambizioso. Tom ci racconta com’è nata la follia.

Un album all’insegna di genio e sregolatezza che ruota intorno ad un manicomio, un idea da cui siete partiti o un naturale sviluppo sul tema?

La psichedelia è stato il punto di partenza, poi un giorno abbiamo visto un documentario in tv su questo manicomio dell’800 nei pressi di Leeds che si chiama West Ryder Paper Asylum, un titolo che suona psichedelico da solo, forse avevamo fumato troppo ma ci siamo detti: è perfetto.

Sembra abbiate “giocato” di più questa volta, è così?

Abbiamo giocato un sacco! Il nostro suono si è contaminato man mano, già nel nostro secondo album c’erano più elementi dance rispetto al primo e in questo abbiamo cercato di unire il rock e la dance con la psichedelia, è uscito un album disordinato e avventuroso. Il buon rock n’roll deve saper far ballare.

Quale credi sia il pregio di questo lavoro?

E’ un disco saturo, è impossibile recepirlo la prima volta che lo si ascolta, ogni volta da emozioni diverse e nuove, per questo siamo stati attratti dal concetto di “follia”. Credo sia un album che spinge chi lo ascolta a fare qualcosa, è pieno d’informazioni, di suoni che fan girare la testa, di alti e bassi che provocano un euforico rush.

Com’è caduta la scelta su Dan the Automator?

Siamo fan del suo lavoro con Unkle, Dj Shadows, Gorillaz, volevamo spingere il nostro suono verso direzioni nuove e lui con i suoi sample ci ha aiutato molto, prima del suo intervento le nostre canzoni suonavano un pò troppo simili al nostro secondo album, erano molto organiche e rock n’roll. Dan ci ha indicato la via giusta senza cambiare la nostra identità inserendo beat e sonorità vicine al mondo hip hop, ma inserite in un contesto rock.

Cosa hai imparato da lui?

A guardare oltre la scatola, a non seguire solo il primo istinto ma tornare indietro a guardare cosa si è fatto, pensare alle nostre canzoni in modo diverso, non c’è mai solo una via d’uscita. Ad esempio Where Did All the Love Go? Era un pezzo heavy rock n’ roll, lo abbiamo decostruito e ora è un pezzo groove, pop e sensuale.

Come nasce un vostro pezzo?

Da una chitarra acustica o dal piano, in modo molto semplice, ci sediamo e suoniamo, discutiamo, ognuno porta le sue idee. Alcune canzoni ci mettono settimane prima di vedere la luce altre come ad esempio West Ryder Silver Bullet sono nate in un paio di giorni.

A proposito di West Ryder Silver Bullet come avete convinto l’attrice Rosario Dawson a cantare per voi?

Eheheh… Cercavamo una donna da far cantare nel pezzo e Sergio è amico di Rosario così glielo abbiamo semplicemente chiesto e lei ha detto di sì! Avevamo in mente un duetto romantico e sexy alla Mickey and Mallory di Natural Born Killers. Rosario si è innamorata subito del pezzo ed è stata fantastica. Le abbiamo anche chiesto di chiedere a Tarantino se gli va di girare un nostro live ma stiamo ancora aspettando una risposta.

Hai dichiarato “In Inghilterra l’era del rock n’roll è finita” cosa intendi?

Ahahah! L’ho detto? Sì, sì è vero! Nel senso che l’essenza del rock n’roll è morta grazia alla discografia, oggi basta che ti colleghi in internet e riesci persino a vedere cosa succede nel backstage, tutto è troppo orientato verso i media, non c’è più mistero, enigma, qualsiasi cosa fai viene ripresa e messa in rete, una volta c’era un sano alone di mistero che oggi è andato perduto.

Il vosto primo album è del 2004, vedi un peggioramento nella scena inglese indie da allora?

Un drammatico peggioramento! “Tutto e subito” è la politica del music businness inglese, uno schifo.

Credi si stia perdendo l’abitudine di ascoltare un album dall’inizio alla fine?

E’ un valore che sta scomparendo. Oramai tutto si basa su di canzoni che compri a 79p su internet. Mi dispiace pensare che la gente non avrà la possibilità di ascoltare il nostro disco per intero perché è davvero bello e sarebbe un vero peccato. New generation: wake up!