2 maggio 2009
BLOC PARTY
Sorpresa! Non sono passati nemmeno due anni dal tormentato secondo album A weeken In The City che Kele Okereke e i suoi kids on the bloc, pubblicano un nuovo album che farà discutere, di nuovo. Intimacy. Dinenticatevi la politica degli esordi di Silent Alarm, qui non c’è nessuna Price of Gas, lasciatevi alle spalle anche il pop di I Still Remember, la band di Londra cambia di nuovo direzione e il singolo Flux con la sua elettronica violenta, può essere considerato il precursore di questa nuova avventura. Co-prodotto da Paul Epworth e Jacknife Lee, ripettivamente produttori del primo e del secondo album della band, Intimacy musicalmente suona cattivo, acido, cupo, distorto ma curato nei minimi dettagli, mentre testualmente può essere letto come il diario segreto di Kele, tormentato, curioso, disilluso, distaccato, realista, tutti aggettivi che ruotano intorno al tema che manda avanti l’umanità: l’amore. Intimacy è un disco rock elettronico che verrà consumato nei club, reso disponibile a sorpresa in digital download lo scorso agosto vedrà la sua pubblicazione fisica a fine ottobre con l’aggiunta di nuovi brani nella tracklist. Abbiamo incontrato i Bloc Party a Hackney, in una giornata troppo assolata per la Londra d’inizio ottobre, qui Kele Okereke si è raccontato a cuore aperto, come un vecchio amico senza paura e senza vergogne, non ha nulla da nascondere, perché così è la vita.
Ciao Kele, come va? Siete in tour adesso vero?
Mmmh… Sì siamo appena tornati dall’America quindi sì, siamo in tour…
Il singolo Flux ha segnato la vostra svolta elettronica, è stato un punto di partenza per il nuovo album?
Non credo che musicalmente Flux abbia influenzato il nuovo album, quando l’abbiamo registrata c’eravamo posti come obiettivo quello di fare qualcosa che non avevamo mai fatto prima, ma credo che questa esperienza ci ha fatto approciare il nuovo album in un modo diverso dai precedenti, oltre a farci capire che siamo arrivati in un punto in cui possiamo fare quel che vogliamo. Non ci saremmo mai immaginati di raggiungere la top ten con una canzone come Flux.
Molti pensano che avete pubblicato il nuovo album con troppa fretta a solo un anno e mezzo da A Weekend in the City. Io credo che avete fatto un ottimo lavoro in breve tempo, qual è il tuo punto di vista?
Grazie. Le persone non sono mai contente. Non c’è niente che cambierei di questo album, nemmeno se potessi farlo ora. Credo che abbiamo raggiunto un’obiettivo, mai come ora posso dire di sentirmi parte di una band affiatata che sa quello che vuole e lo ottiene. Siamo anche riusciti a superare l’alone di hype che ci circondava e mi sento sollevato. Se il risultato è convincente chi se ne frega di quanto tempo abbiamo impiegato nel raggiungerlo.
Qualcosa accomuna tutti i vostri album, il fatto che non sono da primo ascolto, bisogno assimilarli per comprenderli. Può essere uno svantaggio al giorno d’oggi?
Non siamo una pop band, credo che sia una qualità perché ogni volta che ascolti l’album scopri qualcosa di nuovo. Siamo ossessionati dalla struttura delle canzoni e cerchiamo di rompere le convenzioni del pop. La nostra idea era quella di fare un album che le persone possono vivere da dentro, in modo personale.
I testi di Intimacy sembrano pagine strappate dal tuo diario segreto, come vanno letti?
(sorride). Forse sì. Con l’album precedente mi sono sforzato di mostrare attraverso i testi la mia visione del mondo. In questo invece non ho assolutamente pensato a quello di cui volevo parlare, come provavo un’emozione cercavo di buttarla giù sul mio notebook, per questo il tema dell’amore accomuna molti testi. Ho lasciato che il mio cuore mi guidasse parlandomi senza pormi freni, senza farmi domande, sono testi molto onesti e spontanei.
E’ stato doloroso scrivere in questo modo?
No perché non mi pento di nulla di quel che ho fatto e scritto. Sono esperienze che ho convertito in ricordi, non voglio essere il lifecoach di nessuno ho solo lasciato libero il mio istinto.
Siete stati accusati di aver tralasciato gli argomenti politici del vostro esordio, ok il nuovo album parla dell’umanità, della vita, ma non credo abbiate tralasciato del tutto la politica, il video del singolo Mercury parla da solo…
Esatto. Abbiamo trattato la politica in modo sfuggevole e minimale, questo non è affatto un album politico. Le canzoni sono finestre affacciate sul mondo. Secondo me The Price of Gas o Helicopter sono canzoni più pacate rispetto a quelle di A Weekend in the City che considero più penetranti. Ma volevamo allontanarci da tutto questo, cambiare, evolverci, non ripeterci.
Sulla copertina dell’album c’è il dettaglio di due bocche che si baciano, sul singolo Mercury una mano che passa tra i capelli, su Talons una mano che accarezza un collo. Dettagli, come quelli che formano le vostre canzoni, è questo il senso che volevate raggiungere?
Sì, l’idea era quella di catturare dei momenti intimi. Persone che si toccano, si baciano senza limiti, ma senza lasciarne intuire il sesso. E’ stata intenzionale la scelta di associare dettagli fotografici alle canzoni, perché come esse rappresentano la cattura di un momento emozionante e una fragilità che a tratti spaventa.
In Song For Clay (Disappear Here) singolo estratto da A Weeken in the City cantavi la frase diventata celebre “East London is a Vampire, It Sucks the Joy Right Out of Me”. Nel video di Talons scappate dalla luce in una Londra colpita dal blackout. Come vampiri?
Non ci avevo pensato! Sinceramente mentre lo giravamo non avevo idea di quello che ne sarebbe uscito ma credo segua perfettamente l’effetto di smarrimento e ansia della canzone.
Due produttori molto diversi Jacknife Lee e Paul Epworth che convivono in un solo album. Intimacy è un disco con una sola e forte personalità, è stato difficile ottenere questo risultato?
Paul e Jacknife hanno due modi di lavorare molto diversi, con Jacknife non c’era musica, non ha voluto sentire nulla, ci ha fatto partire da zero, ha un porcesso creativo molto strano come lui stesso è, se ne sta sempre davanti al suo computer e lavora molto sulla manipolazione del suono. Paul è più tradizionale, ha voluto sentire i demo e ci ha fatto suonare molto, ha cercato di entrare dentro alla nostra musica.
Zephyrus è una canzone magnifica e imponente, avete lavorato con un vero coro?
Il suono di così tante voci che cantano all’unisono è qualcosa che mi ha sempre affascinato e che ho sempre voluto usare in una nostra canzone. E’ stato fantastico.
L’ultima volta che ci siamo visti a Milano ti ho portato da autografare una copia della fanzine australiana They Shoot Homo, Don’t They? con il tuo ritratto in copertina. Tu l’hai firmata e sei fuggito. Non era mia intenzione metterti in imbarazzo!...
Non mi hai assolutamente imbarazzato, avevamo avuto una giornata pesante d’interviste ed è stata una situazione inattesa. L’ultima cosa che mi aspettavo era quella di farmi vedere in underwear dai miei compagni. Ho posato per il giornale perchè me lo ha chiesto il mio amico Shannon di Melbourne, (direttore della fanzine), è stato divertente.
Ora sei incorniciato nel mio bagno vicino a Michael Stipe e a Casey Spooner entrambe in underwear...
Cool! Dovrò rilasciare una dischiarazione la prossima volta che torno a Milano.
So che ami il pop radiofonico, qual è la canzone che canti oggi sotto la doccia?
Live Your Life di Ti feat. Rihanna, ne sono ossessionato. Amo il pop di questa euro-cheasy song!
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