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THESE NEW PURITANS
A palace where corridors and rooms follow one another and intersect in a tangle of spaces that can make you lose your direction completely and where it is difficult to enter and almost impossible to get out. It's not by chance that on the cover of Hidden, the new chapter of These New Puritans, there's the map of a labyrinth, a concept of construction related to the medieval age and handed on to us through the legend of Daedalus, Minos and the Minotaur, an era which deeply imbues this album. The four members of the band from Southend-on-Sea don't even sound the same anymore, so much this album is complicated and immense, full of trumpets, horns, deep medieval choirs, synthetic sounds and claustrophobic melodies, sinister and repetitive, that confuse and daze the listener, who will wander aimlessly in the dark.
History, its mythologies and the architectural structures have always been a clear passion as from their debut album, Beat Pyramid, for TNPS. The Barnett brothers, Jack, mind and voice, and George, drummer and model as well as muse of Hedi Slimane, who discovered them and asked them to write the music for the Dior Homme f/w 2007-08 show. The song “Navigate, Navigate” is now quite a rare 12” collector's item. Everyone awaits the release of Hidden with anticipation and Jack tells us how it all started.
What are the ideas on which the creative process of Hidden is based?
I got this idea of combining the same kind of production of a Britney Spears song with all those that can be considered as the values of the English music. I know it's a kind of idea that might seem confused and even impossible, but I think the outcome is just this. I would call it an album with a mixed technique.
As a matter of fact the outcome isn't quite something you catch on the first listening. You've got to listen to Hidden a few times to get into it and understand its nature, do you agree?
To be honest not quite, maybe because I created it myself but to me it's a rather immediate work, in fact I reckon it's even more accessible than Beat Pyramid. There're lots of little references in each song that make it lighter, more direct.
Your brother plays the drums. Percussions play indeed a leading role in this album. What's your point of view?
It's true, we've been listening to a lot of instrumental japanese music made just with percussions and drums, we wanted the sound of this album to be as huge as possible and percussions helped us getting to it.
The songs are very emotional, there's a sense of urge and fear flowing in each track. What did you want to tell us?
We originally intend to record a very aggressive album, actually it was meant to be called “Attack Music”, which is the title of one of the tracks but then, while we were developing it, it turned into a more intimate and melancholic album. It really was unintentional.
How was working with a children choir?
Great fun! Children are very adaptable, to them everything is a game. It's been fun to see these innocent children singing very confidently songs about attacks and violence. For us it was even a bit surreal, but as I'm a great medieval music fan, I thought it was the best way to recreate that kind of obscurity made with lightness.
There're so many sounds in Hidden. Did you use some common object to create uncommon sounds?
Yes, there's the sound of a melon struck by a hammer which recreates the sound of a head being smashed, but also the sound of chains, of noises caught on a camera and then put on tape, which comes out as an incredible futuristic effect.
What about your connection with the world of fashion, what are you attracted to?
It's stimulating, but for us it's just a way to keep on publishing our music.
Un palazzo in cui i corridoi e le stanze si susseguono e si intersecano creando un groviglio di spazi capace di far perdere completamente l'orientamento rendendo difficile l'accesso e quasi impossibile l'uscita. Non è un caso che sulla copertina di Hidden, nuovo capitolo dei These New Puritans vi sia posta la piantina di un labirinto, concetto di costruzione legato all’eta medievale e tramandato dalla leggenda di Dedalo, Minosse e il Minotauro, periodo storico di cui questo disco è intriso. I quattro di Southend-on-Sea non sembrano nemmeno più gli stessi per quanto complicato e immenso suona questo disco, ricco di trombe, corni, cupi cori medioevali, suoni sintetici e melodie claustrofobiche, sinistre e ripetitive che confondono e stordiscono l’ascoltatore che si troverà a vagare senza meta nell’oscurità. La storia, le sue mitologie e le strutture archittettoniche sono sempre state una passione evidente sin dal debutto Beat Pyramid per i TNP. I fratelli Harnett, Jack la mente e la voce del gruppoe George batterista e modello, musa di Hedi Slimane che li ha scoperti affidando loro il compito di comporre la musica per la sfilata Dior Homme f/w 2007-08 che è poi diventata Navigate Navigate oggi un 12” da collezione introvabile. Sempre alla maison Dior Homme i TNP hanno dato in esclusiva We Want War per la sfiltata S/S2010 un assaggio di questo nuovo album Hidden. Jack ci racconta come è nato.
Quali sono le idee alla base del processo creativo di Hidden?
Avevo quest’idea di unire lo stesso tipo di produzione che può avere una canzone di Britney Spears e di unirla con tutti quelli che sono i valori della musica inglese. Lo so che è un’idea che può sembrare confusa e anche impossibile ma credo che il risultato sia proprio questo. Lo definirei un album a tecnica mista.
In effetti il risultato non è molto da primo ascolto, bisogna ascoltare più volte Hidden prima di riuscire ad entrarvi e capire la sua natura, sei d’accordo?
A dire la verità non molto, forse perché io stesso l’ho creato ma per me è un lavoro piuttosto immediato, credo addirittura sia più accessibile di Beat Pyramid. Ci sono un sacco di piccoli riferimenti in ogni canzone che lo rendono più leggero, più diretto.
Tuo fratello suona la batteria infatti le percussioni in questo album hanno un leading role, qual’è il tuo punto di vista?
E’ vero, abbiamo ascoltato un sacco di musica strumentale giapponese fatta solo con percussioni e batteria, volevamo che il suono di questo album fosse quanto più grande possibile e le percussioni ci hanno aiutato ad ottenere questo risultato.
Le canzoni sono molto emozionali, c’è un senso di urgenza e di paura che scorre in molte tracce, cosa volevate comunicare?
La nostra idea originaria era quella di fare un disco molto aggressivo infatti doveva intitolarsi Attack Music che è il titolo di una delle tracce ma poi nel suo sviluppo ha preso una svolta più intima e malinconica, è successo senza premeditazione.
Com’è stato lavorare con un coro di bambini?
Molto divertente! I bambini si adattano a tutto, per loro qualsiasi cosa è un gioco è stato divertente vedere questi bambini innocenti cantare testi che parlavano di attacchi e violenza con totale disinvoltura. Per noi è stato anche un po’ surreale, ma essendo un appassionato di musica medievale ho trovato fosse il modo migliore per ricreare quel tipo di cupezza fatta con leggerezza.
Ci sono tantissimi suoni in Hidden, avete usato qualche oggetto comune per creare strane sonorità?
Sì, c’è il suono di un anguria rotta da un martello che ricrea il suono di una testa che si spacca, ma anche delle catene, dei rumori catturati con una telecamera e poi riversati su nastro, ne esce un effetto futuristico incredibile.
Cosa mi dici della vostra connection con il mondo fashion, cosa vi attrae?
E’ stimolante, ma per noi è solo un mezzo per poter continuare a pubblicare la nostra musica.
10 febbraio 2010
The Big Pink
Sudici, capelli arruffati, occhiaie, dita giallo nicotina, un vecchio chiodo e dei jenas sdrulciti, i Big Pink appaiono ruvidi e cupi come la musica che fanno, creata nei bassifondi di Londra; un mix di shoegaze e industrial, lampi controluce e morbidi corpi nudi femminili. A Brief History of Love un album che sembra il titolo di un film d’essai in bianco e nero, una storia d’amore, droga, sesso sfrenato e cuori infranti. Robbie Furze polistrumentista e Milo Cordell, fondatore della Merok music, sono i Big Pink e grazie a pezzi come Velvet e Domino sono usciti dallo scantinato in cui facevano musica per svelarsi al mondo, intorpidendolo con synth e chitarre distorte. Pensate al lato struggente dei Jesus and Mary Chains, ai ritmi ipnotici dei Velvet Underground, alla virata dance e psycho dei Primal Scream, alla cupezza dei Joy Division, aggiungete sesso e melodia e siete pronti per ascoltare questo disco, sdraiati sul divano consunto nel vostro basement con la sigaretta accesa che vi si consuma tra le dita.
Ciao Milo, come va?
Bene grazie sono in coda allo sportello della banca…
Tutto avrei immaginato ma mai di trovarti in banca a far la fila, pensavo di sentirti con la voce impastata reduce da un party…
Ahahah! E’ un duro periodo di lavoro, quasi li rimpiango i party.
Quando avete inziato come Big Pink avevate in mente di creare epiche canzoni erotiche e torbide?
All’inizio a dire la verità volevamo suonare come qualcosa di più artistico, comporre musica sperimentale che potesse andar bene per la colonna sonora di un’istallazione d’arte o di un film. Abbiamo iniziato prima a sperimentare e poi continuando a condensare il nostro suono le composizioni si sono mano a mano accorciate diventando canzoni. Ci conosciamo da un sacco di tempo e quindi abbiamo una certa sintonia quando suoniamo insieme. Ci veniva naturale comporre un pezzo noise di venti minuti come Crystal Vision il brano che apre l’album, all’inizio era solo musica distorta senza voce. Se l’ascolti con questo concetto in mente ti apparirà chiaro il nostro modo di lavorare.
Credo che questo aspetto artistico e cinematico sia rimasto presente soprattutto in canzoni come Velvet che dici?
Potrebbe tranquillamente essere una colonna sonora, a dir la verità per me l’intero album potrebbe esserlo, è la colonna sonora della nostra vita. Mi viene in mente quando abbiamo ascoltato per la prima volta l’album con dei nostri amici a Bruxelles sul tetto di un parcheggio, la musica usciva dalla macchina, si vedeva tutta la città all’imbrunire, fumavamo spinelli e bevavamo vino era la scena perfetta per quel momento della nostra vita.
Collezioni e scatti fotografie in bianco e nero di modelle anni ’30, gore, freak show e vecchi film muti, un gusto che contamina i vostri video, le immagini, gli show, mi piace questo dare un senso a tutto il progetto che è al cento per cento voi. Quando hai cominciato ad archiviare immagini?
Lo faccio da sempre, per me immagini e musica sono due elementi che vanno mano nella mano, senza saremmo tutti ciechi e sordi, vogliamo che le persone siano connesse con il nostro mondo e mi piace trasmetterlo collezionandoe pubblicando sul nostro sito immagini di film, di fotografi che amo o di persone che stimo. Le canzoni fanno riferimento alle immagini e le immagini alle canzoni diventando un tutt’uno.
Deduco che quando componi hai gia un’immagine chiara nella tua mente, una storia, un film…
Assolutamente, la fotografia come la musica ha il potere di estraniarti e di portarti lontano, le fotografie che raccolgo sono molto emotive pur non trasmettendo emozioni, sono le nostre esperienze personali la referenza che ci serve per rendere il tutto emotivo. Questo ragionamento vale anche per la nostra musica.
Se penso a voi che create musica v’immagino in uno squat sporco circondati da persone spaced out alle sei di mattina. E’ questa scena vicina alla realtà?
Ahahah! No… non potrei mai comporre musica a quell’ora di mattina. E fortunatemente non viviamo più in uno squat, non riusciamo a suonare fatti durante un party, ci viene naturale farlo il giorno dopo con l’hangover.
E’ vero che in Inghilterra il testo di Domino è stato accusato di misoginia? E’ uno dei miei preferiti…
Grazie! Ma sì purtroppo è vero anche se per me è solo un testo scherzono che parla di un uomo che cerca la propria rivincita personale su una donna che lo ha deluso, è un testo molto personale come lo è ogni traccia del disco.
Esiste l’amore senza dolore?
No! Ho paura di dover ammettere che il dolore è parte integrante dell’amore, putroppo l’amore non è sempre giorni felici, un buon odore nell’aria o dei fiori appena sbocciati. L’amore fa male, l’amore è gelosia, l’amore è piena di cose orribili e più cresci e più te le trovi davanti. Quando hai diciotto anni non vedi tutto questo ma essere innamorati è un fottuta tragedia piena delle insicurezze della vita e prima o poi ti colpisce allo stomaco. Ma è bellissimo e per questo sei disposto ad affrontare tutto questo tenendo sempre le dita chiuse.
Come sono i Big Pink live?
Dal vivo ci divertiamo un sacco! Non siamo in due, la nostra formazione varia da quattro a sei, perché ci piace sottolineare che siamo una live band, ci piace suonare a volume altissimo, un muro di suono con le voci alti e forte, credo che dal vivo siamo più aggressivi.
Hai fondato la Merok records, etichetta che ha scoperto i Klaxons e firmato in Inghilterra Crystal Castle e Telepathe. Hai tempo tutt’oggi di seguirla?
Certo, stanno succedendo un sacco di cose, abbiamo alcuni nuovi progetti che stanno per uscire e un nuovo blog che se ne occupa, si chiama Don’t Die Wondering, sono sempre in cerca di volti interessanti.
Per chiudere qual’è la colonna sonora che ti accompagna in questi giorni?
Ieri mi sono fatto prestare la macchina da un mio amico e sono andato a fare un giro per Londra con la mia fidanzata, in macchina aveva Definitely Maybe degli Oasis e per me è stata una riscoperta, era molto che non lo ascoltavo ed è stata la colonna sonora perfetta per un giro tra le strade inglesi, ho avvertito delle buone vibrazioni e mi ha ricordato la mia infanzia. Recentemente invece ascolto moltissimo i Cold Cave, un gruppo di Filadelfia,
hanno pubblicato da poco l’album Love Comes Close ed è davvero buono, il cantante Wasley Eisold proviene dalla band hardcore Some Girls e adesso fa queste canzoni synth pop magnifiche.
Mi piace che avete creato una formula riconsocibile, potete essere più pop come in At War with the Sun, più epici come in Domino, o più noise come in Velvet ma in tutti i casi suonate come i Big Pink...
Mi lusinga che reputi il nostro suono riconoscibile nonostante abbiamo cercato di variare il nostro suono il più possibile all’internbo del disco. Ci fa molto piacere essere riconosciuti come band.
Suz “Shape of Fear and Bravery” (No Mad)
Il trip hop, il raggae, il fumo, il cervello che si appanna, suoni che prendono lentamente coscienza, che s’intrecciano a formare melodie che ipnotizzano, rapiscono, intorpidiscono i sensi. Sono le canzoni di Shape of Fear and Bravery il debutto di Suz che da Bologna con complice Ezra riesce a creare un prodotto dal sapore multiculturale. Canzoni che parlano di quel malessere generazionale che spazia dal quotidiano al mal d’amore, canzoni dall’atmosfera inquietante come The Gathering che ti avvolge nel suo torpore e poi ti sguinzaglia nell’atmosfera contaminata dal jazz di Fear. Little by Little è un raggio di sole dopo un temporale sulla spiaggia, Hell is Abscence una sinistra ninna nanna. Un disco dalle sonorità cupe ma calde in cui Suz modula la sua voce con destrezza creando melodie accattivanti che ti penetrano nella mente fino a fartele cantare. Bellissime le illustrazioni di Eppesteingher che vanno perfettamente d’accordo con il mood oscuro e anche sognante dell’album.
3 febbraio 2010
13 dicembre 2009
Noah and the Whale
Ricordate i Noah and the Whale? Con il debutto Peaceful, the World Lays Me Down ci hanno dato un assaggio del loro folk rock emotivo guidato dalla voce profonda di Charlie Fink spalleggiata dai suoi giovani e talentuosi amici musicisti. In The First Day of Spring le emozioni e i sentimenti della band inglese si accentuano, si amplificano, con arrangiamenti sontuosi, archi, cori e una struttura da colonna sonora, il cinema è la fonte d’ispirazione primaria per la band. Un album imponente, dolce, malinconico nato sul finire di un’importante storia d’amore e accompagnato da un omonimo film girato dalla band stessa.
Charlie, The First Day of Spring è un album folk intimo, delicato, a tratti etereo e anche epico, ambizioso e coraggioso. Il vostro debutto era più folk pop e strutturato nella classica forma canzone, cosa vi ha cambiati artisticamente?
Musicalmente le influenze sono state le più diverse, ho ascoltato molta roba sperimentale, Jim O’Rourke, Yankee Hotel Foxtrot dei Wilco, il virtuosismo pianistico di John Cage, dal mio punto di vista il nostro debutto era un semplice album acustico questo è stato più un esperimento per noi.
La deluxe edition del disco è accompagnata da un film di 50 minuti, dobbiamo considerare l’album come una colonna sonora? Spiegami il progetto.
Sì lo è, il film ha una narrazione separata dal contesto del disco, è un film vero e proprio, recitato, uno completa l’altro. E’ anche stato proiettato in alcune sale indipendenti in Inghilterra ma non mi va di raccontare troppo di questo, và visto.
E’ vero che la maggior parte delle canzoni sono state scritte dopo che hai rotto con la tua ragazza, (la cantautrice Laura Marlin n.d.g.) e di conseguenza fortemente ispirate da questo avvenimento?
Posso dire che l’album delinea dei fatti che hanno caratterizzato la mia vita nell’ultimo anno, ma sei libero di vederla come preferisci, del resto le canzoni sono scritte anche per far immedesimare chi le ascolta in esse. All’inizio avevo in mente di fare un concept, ma poi ho capito che quel che più m’interessava era di creare musica che avesse una continuità, non un album fatto di pezzi ma da ascoltare come un flusso continuo dall’inizio alla fine.
Consideri questo album come un nuovo inizio?
Sì a cominciare dal titolo, la primavera segna sempre un nuovo punto di partenza e credo che questa sensazione sia il comun denominatore di tutti i pezzi del disco.
Love Of An Orchestra è un pezzo magnifico, inoltre è posto esattamente al centro del disco, avete registrato con un orchestra?
Love of an Orchestra è il cuore del disco, volevamo si percepisse questa sensazione, deve colpire con un Bang! E’ l’episodio più gioioso del disco anche se finisce come se fosse interrotto all’improvviso.
Un brusco risveglio alla realtà?
Esatto. Comunque non abbiamo registrato con un orchestra è il nostro Tom Hobden che si è occupato delle parti orchestrate, lui suona il violino e la viola, ha arrangiato gli archi e diretto le parti vocali. E’ il nostro orgoglio.
Il vostro debutto era una collezione di canzoni nato in un anno dalla vostra formazione come band, come vi sentite oggi, credete che il nuovo album rifletta in modo più chiaro e anche consistente la vostra identità di musicisti?
Senza ombra di dubbi, penso che ampli la nostra visione di band. Per noi questo album è un enorme progresso, vedi io non credo che la realizzazione di una band vada di pari passo con il successo, questo album indipendentemente da come verrà recepito per me è un grosso motivo di stima. M’interessa più ottenere rispetto come artista che ottenere un riconosciemento dettato dalle classifiche. Ma non fraintendermi amo tutt’ora il nostro primo disco e ne vado fiero, rifletteva quel che eravamo, solo che ora mi sento più ambizioso, più coraggioso e consapevole.
Una curiosità che ho letto in rete, è vero che il nome della band è un omaggio al film The Squid and the Whale?
Sì è vero, all’inizio volevamo chiamarci proprio come il film ma poi abbiamo assemblato parte del titolo con il nome del regista Noah Baumbach ed è uscito Noah and the Whale. E’ anche un modo per far sapere a chi ci ascolta che il cinema è un’influenza primaria per la band.
Tra un album e l’altro avete intitolato un tour Club Silencio, è un riferimento alll’inquitante club che si vede nel film Mullholland Drive di David Lynch?
Sì, amo Lynch e il suo modo visonario di vedere le cose, il passaggio tra realtà e finzione e come si confondono l’una nell’altra fino a non capire più quando un fatto è reale o finto. Club Silencio era un tour in cui musica e cinema diventavano un tutt’uno, c’era un programma di sala, un maschera virtuale che introduceva gli spettatori e dei filmati presi in prestito da vecchi film che amiamo ma anche immagini girate da noi. Volevamo dare un’idea old fashion, è stato un tour eccitante.
L’ultimo film di cui ti sei innamorato perdutamente?
La Vie en Rose di Olivier Dahan ma credo che il film più bello degli ultimi anni sia Il Petroliere di Paul Thomas Anderson.
The Flaming Lips “Embryonic” (Warner)
Il primo ascolto di questa nuova fatica dei Flaming Lips è estraniante. Come se Wayne Coyne e soci non fossero più tornati sulla terra dopo il folle Christmas on Mars. Suoni alieni, sintetici, cupi, inquietanti, voci effettate, rumori, versi di animali e urla interpretati niente meno che da lady Karen O. Un disco che necessita più di un ascolto per esser apprezzato e che porta i Flaming Lips verso territori inesplorati dopo aver calpestato il suolo di Marte, non c’è la psichedelia a tinte scure di The Soft Bulletin, ne la ricerca più pop di Do You Realize?? quando potrebbe essere il momento di fare il salto verso il mainstream i Flaming Lips se ne fregano e creano un disco che è un’opera d’arte astratta sia nella produzione che nelle scelte stilistiche. Oltre ai “versi” di Karen O ci sono gli MGMT in Worm Mountain, perfetti come compagni in questa allucinata avventura sonica destinata a diventare il secondo masterpiece della band.
5 novembre 2009
The XX
Non c’è modo migliore per festeggiare l’arrivo dell’autunno di ascoltarsi il disco degli XX. Il loro suono caldo e scarno si sposa perfettamente con le tonalità delle foglie pronte ad abbandonare i propri rami per lasciarli spogli pronti a ricevere la protezione della prima neve. Questi quattro ragazzetti con base a Londra stanno facendo parlare molto, due voci, una maschile di Oliver e quella femminile di Romy che si accavallano alla perfezione su melodie semplici create da un giro di basso e da un pattern sintetico, strutture hip hop e ritornelli pop, detto così sembra non abbiano inventato nulla ma è come questi elemnti s’incastrano l’uno nell’altro a rendere speciali canzoni come Crystalized, VCR o Basic Space. Un disco fragile, intimo, emozionante, infinito, cupo. Oliver ci racconta la storia di una lunga amicizia che ha creato un disco sorprendente.
Oliver raccontami un po’ degli XX…
Cosa ti dico... Innanzi tutto che io e Romy ci conosciamo dalla nascita, siamo cresciuti insieme, per me è come una sorella. Sai quando ti basta uno sguardo per capire cosa frulla nelle mente di una persona? Jamie e Romy li abbiamo conosciuti a scuola a dodici anni quindi abbiamo un rapporto d’amicizia speciale anche con loro. Siamo una banda!
Una banda e anche una band, incredibile!
Già! Quasi da far invidia.
Forse per questo motivo quando create musica si crea un’alchemia speciale, perché siete cresciuti insieme...
Io e Romy abbiamo iniziato a cantare sovrapponendo le nostre voci proprio perché ci conosciamo così bene che più volte ci capita di rispondere a domande contemporaneamente con le stesse identiche parole.
Il vostro suono è unico, come avete deciso gli strumenti giusti per crearlo?
Non lo so, la verità è che abbiamo usato quel che avevamo a disposizione come una tastiera per bambini comprata su Ebay per cinque pounds! Abbiamo potuto permetterci un synth con i soldi della casa discografica ma nulla di più. Sì, abbiam fatto del nostro meglio con quel che avevamo.
L’incrocio tra basso, chitarra e dance beats è perfetto, crea queste melodie mellow dark affascinanti, come avete raggiunto questa formula?
Jamie è l’uomo dei beats e la sua influenza all’interna della band è molto forte, prima del suo arrivo le nostre canzoni erano più funky house e decisamente più brutte anche se in realtà non ci siamo mai considerati come una band elettronica. Jamie con i suoi beats va a completare il nostro suono e credo sia questo elemento a rendere particolare la nostra musica, è un processo molto naturale per noi soprattutto dal vivo.
E’ vero che la tua vera passione è l’R’n’B?
Decisamente! Ognuno di noi ha passioni differenti a livello di musica, io ho una sorella maggiore che mi ha fatto crescere ascoltando l’r’n’b americano di TLC e En Vogue. Ad esempio non ci crederai ma l’Intro che apre l’album è stato ispirato da Bleeding Love di Leona Lewis... la nostra intenzione era quella di iniziare l’album con un pezzo d’impatto e Leona ci ha aiutati in questo!
Ora sono curioso di sapere i gusti degli altri membri del gruppo…
Romy è decisamnte un tipo disco, Baria ama la drum’n bass e Jamie è più indie.
Quindi sarà una bella lotta mettervi d’accordo in studio!
Siamo due squadre, io e Romy ovviamente e Baria e Jamie, ci piace scontrarci verbalmente ma come fanno dei buoni amici, il lato positivo è che da quando ci conosciamo abbiamo imparato ad apprezzare i gusti gli uni degli altri e abbiamo trovato dei punti d’accordo, ad esempio siamo tutti fans delle CocoRosie.
Le vostre canzoni hanno un lato oscuro, chi è il cuore dark del gruppo?
Direi tutti, non era nostra intenzione creare un disco dark ma ci è uscito così.
The XX un nome molto grafico, perché lo avete scelto?
Proprio per questo, perché ci sono un sacco di cose che puoi farci, è un simbolo, ha un non so che d’industriale, ci si può giocare per creare le nostre t-shirt, ed è immediato. E’ un nome puramente visivo un concetto che credo vada parallelo con la nostra musica che è visionaria ma anche cinematica.
Sei d’accordo che l’amore ha il ruolo di protagonista nei tuoi tesi?
Sì non lo posso negare, è un disco che ruota intorno all’amore, siamo giovani e aperti a nuove esperienze che ci distruggono, ma di cui non possiamo fare a meno.
Cosa ti piace e come giudichi la scena musicale inglese oggi?
Ci sono pareri contrastanti a riguardo ma credo che oggi Londra sia ancora una città eccitante musicalmente parlando, amo i Big Pink, Micachu, i Trailer Trash Tracy’s, sono tutti incredibili musicisti.
Chi era il tuo idolo quando eri un bambino?
I miei genitori sono sempre stati dei grandi fans della musica, mia mamma impazziva per Tina Turner e mio papà per Chris Isaak, e credo che sceglierò lui perché è uno dei ragazzi più cool del mondo.
20 ottobre 2009
THE BIG PINK "A Brief History of Love" (4AD)
Finalmente un gruppo sudicio, spettinato, ruvido, un po’ punkabbestia nell’attitudine, che esce dalle cantine buie della periferia londinese, con un syntetizzatore e una collezione di dischi shoegaze sottobraccio. Robbie Furze e Milo Cordell si sono fatti notare con Velvet un muro di suono compatto e sintetico, distorto, sensuale, con un testo romantico dall’andamento pop mixato da Alan Moulder (My Bloody Valentine), ad oggi il miglior singolo del 2009. Un album che parla d’amore e dei sentieri impervi che bisogna percorrere per raggiungerlo, in cui s’incontrano infatuazione, depressione, rabbia e desiderio. Domino è un pezzo grandioso, grandi cori, sentimento pop, testo spavaldo, Crystal Vision è come la prima cotta non si scorda mai, mentre Love in Vain è un pezzo che vi farà piegare le ginocchia e venire le farfalle nello stomaco. My Bloody Valentine, i Sonic Youth di Daydream Nation, Cure, The Contino Sessions dei Death in Vegas sono esempi per descrivere il mood di questo album allucinante. Attenti sarà amore a primo ascolto.
16 ottobre 2009
FLORENCE + THE MACHINE
Florence Welch è un personaggio conosciuto nelle notti londinesi. Gli after che organizza nello squat dei Big Pink nella zona est della città sono leggendari, difficile trovare una party harder che le tenga testa. Nata a Londra ventidue anni fa, figlia dell’americana Evelyn Welch nota critica d’arte habitué dello Studio 54 e della Factory, da cui ha ereditato talento e desiderio di fare festa, Florence ha un carattere solare ed esuberante, ama la notte e la natura, è dolce ma anche ribelle, sicuramente da adolescente inscenava di dormire e scappava a notte fonda dai rami dell’albero che fanno capolino dal suo davanzale. Basta vedere quanto è a suo agio tra gli alberi di Hyde Park, dove l’abbiamo incontrata poco prima di aprire il concerto dell’estate: la reunion dei Blur. Lungs è il suo debutto discografico, ma per apprezzare del tutto Florence + the Machine bisogna vederla dal vivo, c’è un feeling speciale che la lega al palcoscenico che solca sempre a piedi nudi, come se si trovasse all’aria aperta, nella campagna inglese, con qualla sensazione di terriccio umido e prato che penetra tra le dita che fa sentire vivi e spavaldi. Quando le luci si spengono, inizia la magia, prima s’intravede una chioma rossa che sbuca dalla penombra avvolta da lampi in controluce, poi le sue lunghe gambe bianchissime che lascia sempre scoperte prima di rivelare la sua voce nitida, forte e meravigliosa tanto da farci credere di vivere un sogno, è come se per lei cantare sia la cosa più naturale del mondo. Un pò Kate Bush un pò Chrissie Hynde, eterea e punk, un vestitino a fiori e sopra un chiodo, l’arpa e la batteria, un sussurro e un urlo liberatorio, un attimo saltella leggiadra e subito dopo si lancia a terra a ginocchia nude, parte dolcemente e quando meno te lo aspetti arriva all’headbanging. Il mondo di Florence è fatto di contrasti e perdersi dentro è meraviglioso.
“Quello che faccio è quello che sono, non mi sono mai fermata a pensare: Cavoli che bella voce che ho! Ho sempre cantato nella mia vita sin da quando sono nata. Pensa che ho sempre avuto problemi di memoria a scuola, l’unico modo per me d’imparare un testo era trasformarlo in canzone”.
Nelle tue canzoni e nel tuo immaginario c’è una forte connessione con la natura e con gli animali, da dove nasce?
Credo sia l’Inghilterra stessa a trasmettere questo legame ai suoi abitanti, abbiamo una campagna meravigliosa e credo sia impossibile non subirne l’influenza in qualche modo. Amo i conigli, le volpi, i boschi la notte mi affascinano e mi terrorizzano allo stesso tempo, difficilmente se vedo un bell’albero resisto nell’arrampicarmici sopra. Ho sempre desiderato una casa sull’albero ma non l’ho mai avuta, probabilmente ero io stessa un albero in un'altra vita.
Il tuo album si chiama Lungs, (Polmoni n.d.g.), lo hai intitolato così perché la tua musica è come una boccata d’aria fresca da respirare a pieni polmoni?
Ahahah! Il concetto è questo: se spoglio la mia musica di tutto il superfluo resterebbero la batteria e la voce, la prima rappresenta il battito del cuore e la mia voce sono ovviamente i polmoni. Between Two Lungs è il pezzo che apre il disco e i miei live.
Hai vinto il premio della critica agli ultimi Brit Award mesi prima di aver pubblicato l’album, come ti sei sentita?
Sorpresa anche se cerco di non pensarci, l’attenzione della stampa mi fa paura, mi terrorizza a morte, io voglio solo fare la mia musica e non pensarci.
Le tue canzoni sono poetiche ed emozionanti, la tua voce è forte, le tue esibizioni live a tratti selvagge, nella tua musica dolcezza e forza diventano un tutt’uno, ti ci ritrovi?
Sì, sono una donna, sono vulnerabile ma anche forte, si pensa che le donne siano fragili e indifese ma non è così, siamo anche più forti degli uomini, io ce la metto tutta per raggiungere un obiettivo e mi batto per quello che faccio, scendere a compromessi non è nella mia indole e difficilmente cambio idea. La mia personalità ha molte sfaccettature, il mio disco è nato sul finire di una storia d’amore molto importante, c’è sofferenza ma anche forza. Questo album mi ha insegnato ad andare avanti, ho incanalato la mia rabbia e le mie amarezze in ogni singola canzone. Non ho mezze misure, sono dominata dalle mie emozioni, se sono contenta sono un vulcano in eruzione e se sono depressa non ho nemmeno la forza di parlare.
Qundi se i tuoi testi sono basati su esperienze personali pensando a Kiss with a Fist mi viene da chiederti se hai davvero dato fuoco al letto durante un litigio d’amore…
Ahahah! Diciamo che sono molto istintiva…
Tornando alla canzone, hai ricevuto più baci o più pugni nella tua vita?
Oh fuck... bacetti! Un sacco di bacetti.
Quando sei sul palco sei come posseduta dalla tua stessa musica, ascoltando le tue canzoni non ci si immagina una tale carica dal vivo che ti prende fino a farti fare stage diving sulle persone esaltate e allo stesso tempo sconcertate dalla tua energia live…
Mi sento libera sul palco! Felice di suonare la mia musica, credo che troppe persone nel quotidiano non si lasciano andare, sono vittime di troppe costrizioni, hanno timore di esprimere liberamente le proprie emozioni, io ne morirei. L’amore, la vita, la voglia di divertirsi, di fare qualcosa di stupido solo per farci sopra una risata, lasciarsi andare anche semplicemente ballando tra la folla ad un mio concerto, questo voglio da chi viene a vedermi, voglio respirare la libertà.
C’è anche un non so che di teatrale nei tuoi live ed anche nel modo in cui gesticoli mentre parli qui ora…
Dici? Beh diciamo grazie a Shakespeare.
Cosa t’ispira di più?
La competizione, il pormi delle domande, l’arte, una fotografia, camminare a piedi nudi nella rugiada mattutina, andare in bicicletta per le strade di Londra, la vita.
Com’è il tuo background musicale?
Da ragazzina ascoltavo musica punk, The Clash, The Ramones, poi sono arrivati il grunge e i Nirvana, poi ho scoperto il northern soul, i Talking Heads, Joy Division, e sono una grande fans dei mixtape.
Si dice che i party che organizzi a casa dei tuoi amici The Big Pink siano leggendari, cosa mi racconti a riguardo?
(Florence guarda in alto, poi per la prima volta arrossisce e ridacchia). Mi piace divertirmi non so che dire, anche se ultimamente non ne ho più il tempo e mi dispiace un sacco ora che mi ci fai pensare… Ho molti amici e sì mi piace fare casino con loro.
Mi piace il modo in cui mostri le tue gambe, è molto old style rock n roll!
Grazie! Ahahahah! Dimentico sempre d’indossare i miei pantaloni! Sai cosa mi è successo al concerto alla Brixton Academy?
No dimmi!
Indossavo un abito turchese molto leggero tenuto insieme solo da una spilla, durante il concerto si è aperta e mi sono ritrovate a cantare in canottiera e coulotte, ho chiuso il set lanciandomi sulla folla. Mi sono rivista e sembravo una pazza!
Sembra molto divertente, vedi che sei ancora punk sotto sotto…
Ahahah, ci sono molti modi di sentirsi punk e forse questo è il mio!
PATRICK WOLF
Era il 2004 quando Patrick Wolf uscì come dalle pagine di un racconto di Charles Dickens giocando alla ruota con il cerchio tra suoni celtici e pop avant-garde con un effetto strano e meraviglioso allo stesso tempo. Dopo essersi dichiarato libertino in Wind in the Wires, il suo masterpiece, firma con una major e nel 2007 pubblica The Magic Position il suo album più pop, glam e queer. Ma il mondo mainstream non lo capisce così se ne va incompreso e snobbato come un Macaulay Culkin in Mamma ho Perso l’Aereo ma travestito da Principe Caspian in Gareth Pugh. Senza perdersi d’animo Patrick apre un sito e si autoproduce finanziato dai suoi fans che diventano azionari di questo nuovo capitolo della sua storia: Battle, un concept diviso in due parti The Bachelor e The Conqueror. Un lavoro pieno d’idee e dalle possibilità infinite, in cui la voce di Tilda Swinton incontra i suoni techno di Alec Empire, in cui l’innocenza si scontra con la sessualita, la perversione, la malinconia e tutte le crude verità che riserva la vita. Che la battaglia abbia inizio.
Il tuo nuovo album è la prima parte di un progetto doppio, chiamato Battle. Ora hai pubblicato The Bachelor e l’anno prossimo uscirà The Conqueror a completarlo. Com'è nata questa idea e il progetto in generale?
E' iniziato tutto con un album unico ma con due tipi molto differenti di canzoni che non sapevo come unire. Prima ho iniziato a scrivere di un tempo della mia vita in cui ero molto solo e con un punto di vista pessimista riguardo all'amore. Poi però sono entrato in un periodo felice della mia vita, in cui ho iniziato una nuova relazione e ho sentito che dovevo esprimere delle emozioni positive. Quindi mi sono ritrovato con due gruppi di sensazioni e di tracce molto diverse, e in tutto circa una quarantina di canzoni da registrare. Il problema a quel punto è diventato di tipo finanziario: era praticamente impossibile produrre tutto allo stesso momento. Allora ho iniziato a fare la prima parte e in luglio registrerò la seconda. Il secondo album sarà una sorta di sequel, come la parte 1 e 2 di un film. E più avanti potrebbero anche uscire insieme come Battle.
Parlando di te, sembra che l'opinione della gente sia divisa in due: c'è chi ti vede come un artista importante e che ha segnato una svolta, altri che ti considerano poco più di una pop star. Che ne pensi di questa duplice opinione?
So che ci può essere un'opinione un po' negativa di me ma penso che sia dettata spesso dal fatto che ho iniziato ad avere pubblico, a fare tour, ad avere un buon seguito, ormai da sei anni. Chiunque ha successo nella vita deve pensare che c'è qualcuno sempre pronto a farti scendere. Sono rispettato da persone che io considero importanti in diversi settori. Comunque, non cambierei la mia vita con niente al mondo: è importante essere controversi e creare opinioni diverse alla gente e dar loro qualcosa a cui pensare.
In tutto l'album c'è una sensazione parecchio triste, un sentire molto drammatico. Sembra quasi che non ti importi del lato bello delle cose...
Personalmente e dal punto di vista dei testi, penso che sia così. Musicalmente è una sorta di combinazione tra ciò che può essere definito felice e le parti tristi. Credo che la mia musica possa dare fiducia in qualche modo a chi si sente depresso.
Hai parlato dei testi. Citi spesso situazioni politiche o anche l'argomento del suicidio. Sono basati su fatti personali?
Sì, assolutamente. Scrivo direttamente dalle esperienze che documento nella mia vita. C'è la parte politica in cui io do le mie opinione su quello che succede e sì, nominando i suicidi, c'è la vicenda di un amico che è scomparso un paio di anni fa. Tutto quello che c'è nell'album è la trascrizione di un'esperienza diretta.
Guardando indietro nella tua carriera hai cambiato radicalmente la tua immagine. Prima sembravi una sorta di Peter Pan, sognante e fiducioso, adesso hai un lato dark molto più presente. Sei d'accordo?
Assolutamente. Penso che le persone a un certo punto chiedano di andare oltre la fantasia o il mondo magico che ho disegnato. E' una cosa che ho fatto spesso negli ultimi tre album, mentre adesso mi sembrava giusto andare in un'altra direzione. Credo sia un'evoluzione naturale.
Questa tensione si nota anche all'interno dell'album. Come riesci a passare dalle parti elettroniche a quelle acustiche anche all'interno della stessa canzone? Ti viene naturale?
Sì, è un istinto naturale. A volte è molto diretto e spontaneo, altre volte penso alle mie radici e le esploro a fondo volontariamente. Non discrimino tra elettronica e acustica: è come guardare il mondo in bianco e nero. Lo vedo come un processo naturale, è la mia natura, non mi interessa il suono finale dell'album, deve essere coerente con me.
Anche nel tuo video Volture si nota molto questo cambiamento...
Beh sì, il video è una metafora visuale: usare il mondo del sadomaso per esprimere una sorta di tendenza autodistruttiva, o almeno confusa. In alcuni momenti una persona può essere potente ma allo stesso tempo sottomessa, non soltanto dal punto di vista sessuale, ma proprio come metafora della vita.
L'hai diretto tu, vero?
Sì, ho fatto tutto io. Volevo sperimentare un approccio self-directed. L'ho creato io, parlando di me stesso.
Sembra che tu abbia una forte connessione con il mondo fashion e del design. Sia per i video che per i live, i tuoi look sono sempre curati ed eccentrici...
Non sono così connesso con la moda, in realtà. Ci sono dei miei amici che io considero più artisti che designer, che realizzano pezzi magari non legati ad alcun trend. Mi piace indossare alcune loro creazioni, ma le vedo come visioni creative, non come capi di moda.
Senti, ultima domanda: com'eri da piccolo?
Ero un bambino molto energico! Mi piaceva girare per casa nudo, gridare, correre, urlare, rompere le cose. In effetti, già da allora mi piaceva essere al centro dell'attenzione, come su un palco. Poi, avevo un ottimo rapporto con mia sorella: avevamo il nostro mondo parallelo, il nostro linguaggio. Poi, quando sono diventato un teenager è stato più duro mantenere questo mondo e mi sono dovuto scontrare con la realtà.
Marco Cresci e Matteo Zampollo
KASABIAN
Il West Ryder Paper Asylum è un ospedale psichiatrico edificato a Wakefield nel 1800, il suo nome è stato preso in prestito dai Kasabian come titolo del loro terzo album. Un lavoro temerario che si prefissa di scavallare i limiti della psichedelia in un vortice di emozioni quali ansia, stupore, gioia, malinconia, ira, voluttuosità, smarrimento e genio, tutti insieme a scontrasri come racchiusi nel cervello del più normale dei matti. La band di Leicester è cresciuta sotto le ali protettive dei fratelli Gallagher, che è risaputo, odiano tutti e non si sa come i Kasabian se li sono ingraziati, sarà che, per dirla alla Liam, il loro rock è “cazzutissimo”. Genio e pazzia vanno da sempre di pari passo, per farsi aiutare in questa impresa Tom Meighan e Sergio Pizzorno, voce e chitarra non che menti del gruppo, lasciano contaminare il loro rock sudicio, che ha partorito successi come Club Foot e Shoot The Runner, dalle visoni del produttore Dan the Automator. Dan infila beat e sample a profusione traccia dopo traccia, stordendo e affascinando chiunque si addentrerà tra le stanze di questo manicomio i cui pazienti ideali si chiamerebbero Primal Scream, Ennio Morricone, Rolling Stones, Tarantino, influenze evidenti di questo lavoro visionario e ambizioso. Tom ci racconta com’è nata la follia.
Un album all’insegna di genio e sregolatezza che ruota intorno ad un manicomio, un idea da cui siete partiti o un naturale sviluppo sul tema?
La psichedelia è stato il punto di partenza, poi un giorno abbiamo visto un documentario in tv su questo manicomio dell’800 nei pressi di Leeds che si chiama West Ryder Paper Asylum, un titolo che suona psichedelico da solo, forse avevamo fumato troppo ma ci siamo detti: è perfetto.
Sembra abbiate “giocato” di più questa volta, è così?
Abbiamo giocato un sacco! Il nostro suono si è contaminato man mano, già nel nostro secondo album c’erano più elementi dance rispetto al primo e in questo abbiamo cercato di unire il rock e la dance con la psichedelia, è uscito un album disordinato e avventuroso. Il buon rock n’roll deve saper far ballare.
Quale credi sia il pregio di questo lavoro?
E’ un disco saturo, è impossibile recepirlo la prima volta che lo si ascolta, ogni volta da emozioni diverse e nuove, per questo siamo stati attratti dal concetto di “follia”. Credo sia un album che spinge chi lo ascolta a fare qualcosa, è pieno d’informazioni, di suoni che fan girare la testa, di alti e bassi che provocano un euforico rush.
Com’è caduta la scelta su Dan the Automator?
Siamo fan del suo lavoro con Unkle, Dj Shadows, Gorillaz, volevamo spingere il nostro suono verso direzioni nuove e lui con i suoi sample ci ha aiutato molto, prima del suo intervento le nostre canzoni suonavano un pò troppo simili al nostro secondo album, erano molto organiche e rock n’roll. Dan ci ha indicato la via giusta senza cambiare la nostra identità inserendo beat e sonorità vicine al mondo hip hop, ma inserite in un contesto rock.
Cosa hai imparato da lui?
A guardare oltre la scatola, a non seguire solo il primo istinto ma tornare indietro a guardare cosa si è fatto, pensare alle nostre canzoni in modo diverso, non c’è mai solo una via d’uscita. Ad esempio Where Did All the Love Go? Era un pezzo heavy rock n’ roll, lo abbiamo decostruito e ora è un pezzo groove, pop e sensuale.
Come nasce un vostro pezzo?
Da una chitarra acustica o dal piano, in modo molto semplice, ci sediamo e suoniamo, discutiamo, ognuno porta le sue idee. Alcune canzoni ci mettono settimane prima di vedere la luce altre come ad esempio West Ryder Silver Bullet sono nate in un paio di giorni.
A proposito di West Ryder Silver Bullet come avete convinto l’attrice Rosario Dawson a cantare per voi?
Eheheh… Cercavamo una donna da far cantare nel pezzo e Sergio è amico di Rosario così glielo abbiamo semplicemente chiesto e lei ha detto di sì! Avevamo in mente un duetto romantico e sexy alla Mickey and Mallory di Natural Born Killers. Rosario si è innamorata subito del pezzo ed è stata fantastica. Le abbiamo anche chiesto di chiedere a Tarantino se gli va di girare un nostro live ma stiamo ancora aspettando una risposta.
Hai dichiarato “In Inghilterra l’era del rock n’roll è finita” cosa intendi?
Ahahah! L’ho detto? Sì, sì è vero! Nel senso che l’essenza del rock n’roll è morta grazia alla discografia, oggi basta che ti colleghi in internet e riesci persino a vedere cosa succede nel backstage, tutto è troppo orientato verso i media, non c’è più mistero, enigma, qualsiasi cosa fai viene ripresa e messa in rete, una volta c’era un sano alone di mistero che oggi è andato perduto.
Il vosto primo album è del 2004, vedi un peggioramento nella scena inglese indie da allora?
Un drammatico peggioramento! “Tutto e subito” è la politica del music businness inglese, uno schifo.
Credi si stia perdendo l’abitudine di ascoltare un album dall’inizio alla fine?
E’ un valore che sta scomparendo. Oramai tutto si basa su di canzoni che compri a 79p su internet. Mi dispiace pensare che la gente non avrà la possibilità di ascoltare il nostro disco per intero perché è davvero bello e sarebbe un vero peccato. New generation: wake up!
15 ottobre 2009
8 ottobre 2009
LA ROUX
Si sentiva nell’aria e nella terra che la rivoluzione stava per cominciare, le ragazze hanno la musica in pugno e la vittoria in tasca su tutti i fronti musicali, Lady Gaga, Katy Perry, Ladyhawke, Little Boots, Florence and the Machine, Lissy Trullie, l’invasione delle cantanti vent’enni è cominciata e tocca a La Roux sferrare il colpo di grazia. Ciuffo rosso fuoco alla Tin Tin, una faccia androgina dallo sguardo posh capace di mettere in soggezione, un look che mixa tie dyed denym, camice stampa Versace, make up fluo e una passione per i camei che tiene al collo e al dito, Ellie Jackson è La Roux la nuova stella dell’electropop. Lanciata dalla Kitsunè con il singolo Quicksand, la rossa di Brixton raggiunge a sorpresa il secondo posto delle chart Uk con In It For The Kill, la sua musica è istantanea ma mai banale e nonostante peschi ancora una volta dai suoni anni ’80, risulta libera da ogni vincolo, senza pretese e intelligente. In un paio di mesi è diventata un’icona di stile è impossibile non chiedersi Who’s That Girl? la prima volta che la si vede con quel look maschile che ricorda Tilda Swinton e quell’attitudine di chi sa il fatto suo. Elly Jackson incontra Ban Langmaid discepolo di Rollo dei Faithless a diciassette anni ad un party, e qualche anno dopo insieme formano i La Roux. Lui compone e produce in studio ma odia le luci della ribalta e sceglie l’anonimato mandando in scena solo Ellie che subito diventa La Roux come unica identità. Raggiungerla a Londra è un’impresa impossibile, la stampa le sta addosso pronta a divorarsi ogni sua singola mossa, così per incontrarla voliamo a Berlino a Kreuzberg, in un giorno di fine maggio in cui sole, grandine, pioggia e vento si alternano in un turbinio delirante e senza sosta, ma siamo pronti a sfidare tutte le intemperie pur di parlare con La Roux, a costo di sciuparle il ciuffo.
Ciao Ellie, o La Roux? Chiariamo questo fatto…
La Roux è un duo, ci si confonde non è vero? Ma questo mi diverte, siamo io e Ben. In studio siamo un duo ma in ogni altro posto sono solo io, è come funziona per Goldfrapp anche se siamo molto diverse! (scoppia a ridere). Io sono La Roux ovviamente perché sono quella con i capelli rossi, ma siamo comunque La Roux entrambi…
Un altro fraintendimento che ti riguarda è che per via del tuo nome d’arte e perché sei stata lanciata dalla Kitsunè, in molti pensano che tu sia francese…
E ancora più divertente è il fatto che molte persone pensano che io sia di Glascow solo perché ho i capelli rossi! E se sei rossa devi essere scozzese per forza no?!
Il tuo album omonimo suona fresco, spontaneo e innovativo, è stato difficile fare musica attingendo dagli anni ’80 senza cadere nei soliti clichè?
Sì. Il fatto è che mi sento come nata nell’epoca sbagliata, mi sarebbe piaciuto moltissimo poter vivere gli anni ’80 ma sono nata nel 1988, non sto cercando di copiare nessuno, ne tanto meno di apparire cool, sono me stessa e la mia musica è spontanea quanto lo sono io. Se qualcuno trova la mia musica banale o pacchiana è un problema loro non mio. Io amo i Chromeo ma loro sono come un gioco, scherzano con gli anni ’80, li prendono in giro eccentuandone le caratteristiche, la mia musica invece si rifà agli anni ’80 ma con un tocco attuale, moderno.
Parlami del tuo immaginario, è molto forte e personale, è qualcosa che ti appartiene o c’è una ricerca alle spalle?
È naturale e strano allo stesso tempo, ho parlato molto di questo anche con Kinga Burza che ha diretto il video di In It fot the Kill e Quicksand e del fatto che anche se non volevamo sembrare anni ’80 è stato impossibile non esserlo. Anche per il video di Bulletproof è successo lo stesso, avevo giurato a me stessa: non voglio essere ‘80! Ma alla fine è impossibile liberarsene anche se è una reinterpretazione moderna sono lo stesso anni ’80, non c’è altro immaginario che si sposa così bene con la mia musica.
La melodia ha un ruolo fondamentale nelle tue canzoni, credi sia il segreto per raggiungere la perfezione?
Credo sia il segreto per una buona canzone, ma per raggiungere la perfezione ci vuole anche un buon testo, senza non puoi ottenere una canzone segreta. Ho detto segreta invece di perfetta? Ahahah! Ok è vero ho scritto una canzone perfetta ma è un segreto è la canzone più bella mai stata scritta ma non dirlo a nessuno! (scoppiamo a ridere). Nel pop le melodie mi mettono allegria.
Le melodie molto allegre sono spesso in contrasto con i testi che parlano di storie d’amore finite male, sono personali?
La maggior parte dei miei testi li ho scritti piangendo anche se suonano gioiosi, sono totalmente personali, sono incisi nel mio cuore.
Nell’album c’è un pezzo molto bello si chiama Tigerlily, è impossibile non cantarla e verso la fine c’è una voce maschile paurosa in stile Thriller, di chi è?
Non ci crederai ma è di mio padre! Non posso negarlo è totalmente copiata da Thriller, lo abbiamo fatto per gioco ma poi l’idea di mettere un pezzo così sfacciato mi divertiva. Michael Jackson è il mio eroe, non com’è adesso! Sarebbe pietoso.
Andrai a vederlo in uno dei suoi cinquanta concerti londinesi?
No, non avrebbe senso, primo perché non voglio dargli i miei soldi e secondo perché non credo che sarà veramente lui ad esibirsi, rovinerei in un istante uno dei miei più grandi sogni. Lo avrei visto negli anni ’80 quando faceva buona musica non oggi, ripeto non oggi!
Sei diventata immediatamente una faschion Icon, (Ellie eccitata esclama Yes! Facendo il tipico gesto di chi ce l’ha fatta), grazie al tuo ciuffo, jeans scoloriti, camice stile Versace e l’inseparabile medaglione cameo…
Sì ho candeggiato decine e decine di jeans ma sto cercando di usarli un pò meno anche se mi piacciono sempre solo che quando una cosa diventa di moda non riesco più a metterla! Mentre adoro le camice in stile cheap Versace.
E la passione per i Cameo da dove nasce?
Non lo so esattamente, ne sono affascinata, come adoro gli stemmi araldici, compro sempre anelli e ciondoli che li raffigurano nei mercatini e soprattuto nelle stazioni dei treni, (mi mostra un anello con un cameo e un altro con uno stemma reale n.d.g.), non mi piace spendere molti soldi in gioielli. A parte questo grosso ciondolo a cameo che è di Sylvie Markovina, una designer di gioielli australiana che amo.
Dovresti farti fare un ciondolo con la tua silhouette, sarebbe perfetto!
L’ho fatto! L’abbiamo stampata sulle magliette del merchandise.
Immagino che i kids londinesi stiano cercando gia da tempo di copiare la tua pettinature…
Sì lo fanno… (Fa il broncio)
E questo ti dispiace?
No è molto divertente il fatto è che lo fanno male…
Come una brutta copia?
Non è una questione di bruttezza è che è veramente difficile ottenere questo effetto anche una volta che hai imparato come farlo, ci vuole molto tempo, e soprattutto devi avere i capelli tagliati per essere pettinati in questo modo non può farlo chiunque. Io adesso ci metto cinque minuti a farmeli, ma sono allenata.
Adesso che ti ho qui di fronte a me posso dire che sei dolcissima, gentile e simpatica, ma ammetto che in foto e nei video hai uno sguardo che mette in soggezzione, lo sai?
Davvero? Interessante, ma vedi io non so posare davanti all’obiettivo ridendo e molte spesso assumo uno sguardo arrabbiato, ma non sono arrabbiata, penso che il sorriso non centri nulla con la mia immagine o con la mia musica, guardami (posa con un sorriso a pieni denti) non sembrerei Joker? Ahahah!
Hai appena concluso il tuo primo tour come headliner com’è andato?
Bene ma è stato molto faticoso, le date erano una dietro all’altra e trattandosi di un NME tour suonavamo sempre in piccoli club sporchi, cool ma molto sporchi. Non c’era mai nemmeno il tempo di avere un pasto decente, perché ci trovavamo in posti come Preston in cui non sanno nemmeno cos’è un ristorante giapponese. Non ho nulla contro Preston ma sono posti in cui non c’è nulla se non Mc Donlad o Tesco, così mangiare diventa difficile e alla fine del tour ero ammalata e stanca.
Tu, Ladyhawke e Little Boots, possiamo parlare di una nuova scena femminile?
Forse. Se provenissimo dallo stesso posto sicuramente potremmo parlare di scena ma io sono di Brixton, Little Boots di Blackpool e Ladyhawke neozelandese, quindi parlerei più di una coincidenza anche se riconosco che abbiamo spunti comuni, forse più con Little Boots perché Ladyhawke è molto Fleetwood Mac, ma sono due artiste che mi rispetto molto.
Quando potremo vederti dal vivo i Italia?
Tra poco partirò per un lungo tour europeo che toccherà l’Italia a marzo, per la precisione Milano, non vedo l’ora!
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